Come può un’azienda ridurre il proprio impatto ambientale senza compromettere il proprio modello economico?
È davvero possibile conciliare performance e sostenibilità attraverso il modo in cui un prodotto viene offerto al mercato?
E quali strumenti abbiamo per misurare — e incentivare — questi benefici?
Questi temi sono stati affrontati nel webinar “The Servitization Revolution for Sustainability”, organizzato dal centro di ricerca interuniversitario ASAP. Un’occasione per confrontarsi, a cavallo tra ricerca accademica e applicazioni industriali, sul potenziale trasformativo della servitizzazione — ovvero il passaggio dal vendere prodotti al fornire soluzioni integrate prodotto-servizio — come leva concreta per la transizione sostenibile.
Servitizzazione, un modello di business sostenibile
“A livello teorico sappiamo che il potenziale è enorme”, ha spiegato Nicola Saccani, docente dell’Università di Brescia e membro del board del centro di ricerca ASAP. “La servitizzazione, se ben progettata, può favorire l’efficienza, estendere il ciclo di vita dei beni, abilitare logiche di uso condiviso, e ridurre drasticamente gli impatti ambientali. Ma nella pratica, siamo ancora molto lontani da una piena realizzazione di questo potenziale.”
A partire dal webinar, questo articolo approfondisce il legame tra servitizzazione e sostenibilità, tramite casi reali, strumenti teorici e prospettive future emerse durante l’incontro.
In che modo i modelli di business servitizzati possono realmente generare benefici ambientali concreti?
Nicola Saccani spiega come la risposta stia nell’adozione di una prospettiva sistemica, capace di unire tre dimensioni che troppo spesso vengono trattate separatamente:
- servitizzazione
- economia circolare
- digitalizzazione.
“Non possiamo parlare di sostenibilità senza ripensare completamente il modo in cui i prodotti vengono progettati, erogati e valorizzati”, ha affermato. “E questo include non solo il prodotto fisico, ma anche il modello di business che lo accompagna.”
In questo contesto, ASAP ha proposto un framework che identifica sette “environmental value drivers”: sono i meccanismi attraverso cui un’offerta servitizzata può, nella pratica, generare impatti positivi. Si va dall’efficienza di utilizzo, alla riduzione dei materiali, dall’estensione del ciclo di vita alla maggiore intensità d’impiego (tipica dei modelli di sharing).
Servitizzazione: i componenti di un modello di business più sostenibile
Ma per attivare davvero questi driver, non basta aggiungere un servizio a un prodotto: serve progettare coerentemente anche i modelli di ricavo e i meccanismi di pricing. “Il modo in cui viene stabilito il prezzo influenza direttamente il comportamento del cliente e del fornitore”, ha spiegato Saccani. “Un contratto ‘cost-plus’ sulla manutenzione, ad esempio, potrebbe disincentivare interventi preventivi. Un modello basato sul valore — o su parametri ambientali come le emissioni risparmiate — può invece allineare gli interessi economici con quelli ambientali.”
Durante il webinar è stata presentata una matrice di allineamento (Figura 1 a seguire) che consente di valutare quanto un’offerta di prodotto-servizio sia coerente con gli obiettivi di sostenibilità, tenendo conto del tipo di servizio, della struttura dei ricavi e degli impatti attesi.
Il caso Lynk & Co: condividere un’auto per moltiplicare il beneficio
A rendere tangibili questi concetti è stata l’esperienza diretta di Carolina Reuterving, precedentemente Head of Sustainability di Lynk & Co, e oggi CEO di Vireos Sustainability Partners. “Nel settore della mobilità, il vero cambiamento non è solo cosa guidiamo, ma come lo usiamo”, ha affermato con decisione.
Il modello di Lynk & Co prevede una formula di abbonamento mensile che include anche un servizio di car sharing integrato, accessibile tramite app. L’utente può prestare la propria auto ad altri utenti in modo semplice e flessibile, decidendo prezzo e disponibilità. “Una logica molto simile a quella di Airbnb”, ha spiegato Reuterving.
E i numeri parlano chiaro. Secondo uno studio condotto da Volvo On Demand, una sola auto condivisa può sostituire fino a undici veicoli privati. Inoltre, le analisi LCA (Life Cycle Assessment) condotte mostrano che la fase di produzione rappresenta una quota importante sulle emissioni di CO2 totali nel ciclo di vita di un veicolo elettrico. “Se riusciamo a produrre meno veicoli, a farli durare di più e a gestirli in modo circolare — ad esempio mantenendo la proprietà del mezzo all’interno dell’azienda — allora il potenziale è enorme”, ha spiegato.
Ma Reuterving non ha nascosto le difficoltà. “Gestire una flotta in abbonamento è tutt’altro che semplice. Serve massa critica, stabilità economica, e un sistema di incentivi che valorizzi anche il fine vita e il riciclo dei materiali. Al momento, molte aziende non hanno ancora trovato l’equilibrio tra sostenibilità e profittabilità.”
Il caso ABB: sostenibilità a partire dalla vita utile degli impianti
Un’altra testimonianza concreta è arrivata da Marco Egman e Alice Adragna, di ABB Electrification Service, che hanno illustrato l’approccio dell’azienda alla servitizzazione nel settore dell’energia.
Al centro del racconto, gli switchgear: componenti elettrici fondamentali, spesso poco visibili ma essenziali nelle infrastrutture industriali. “Sono macchine che possono durare anche quarant’anni”, ha spiegato Eggman. “Ma è proprio questo ciclo di vita lungo che ci offre la possibilità di agire in ottica sostenibile.”
ABB ha strutturato la propria offerta su quattro direttrici operative:
- Usare meno: progettare con materiali riciclati e ridurre l’uso di risorse;
- Usare più a lungo: prolungare la vita utile con retrofit e manutenzione;
- Usare meglio: integrare soluzioni digitali per monitoraggio e diagnostica predittiva;
- Usare di nuovo: implementare logiche di ricondizionamento, riuso e riciclo.
“I dati parlano chiaro”, ha aggiunto Adragna. “Con un semplice retrofit, possiamo evitare fino a 4 tonnellate di CO₂ equivalente per ogni apparecchiatura, evitando la sostituzione integrale del quadro elettrico.”
Un aspetto particolarmente interessante è che questi principi non sono solo offerti al mercato, ma fanno parte anche delle pratiche operative interne dell’azienda, a conferma di un orientamento sistemico alla sostenibilità.
Oltre il paradigma: perché la servitizzazione come modello di business conta davvero
L’affermazione della servitization come leva strategica per la sostenibilità non è più solo un tema da convegno accademico: sta diventando una questione concreta per imprese, policy maker e organizzazioni che si interrogano sul proprio ruolo in una transizione ecologica che non può più attendere.
Se da un lato la letteratura scientifica ha già messo in luce il potenziale trasformativo dei modelli servitizzati, dall’altro la realtà industriale ci mostra quanto sia complesso integrare modelli di business, metriche ambientali e sistemi di incentivazione. I casi presentati nel webinar dimostrano che una progettazione consapevole – anche nelle leve più invisibili, come il pricing o il ciclo di vita tecnico – può fare la differenza.
Come ha sottolineato in chiusura Nicola Saccani, “la servitizzazione è una rivoluzione ancora in divenire. Ma è una rivoluzione necessaria.” Una trasformazione che richiede strumenti, visione e collaborazione tra ricerca e impresa.
Approfondimenti
ASAP è un Centro di Ricerca Interuniversitario attivo dal 2003, che promuove studi e progetti applicati sul service management, la servitizzazione e i modelli di business orientati alla sostenibilità. Collabora con imprese e atenei italiani e internazionali, attraverso attività di ricerca, formazione e divulgazione scientifica.
Sul sito ufficiale sono disponibili: una sintesi completa del webinar “The Servitization Revolution for Sustainability”, e il report di ricerca 2024 che porta lo stesso titolo, con analisi teoriche e casi applicativi sul tema.
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