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Verso il Forum Appalti 2025


Il 10 e 11 giugno si terrà a Bologna la prima edizione del “Forum Appalti”, iniziativa che ho il piacere di coordinare insieme ad altri autorevoli colleghi. (consulta qui il programma completo)

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Sarà un’importante occasione di incontro, confronto e formazione per tutti coloro che si occupano di contratti pubblici, grazie al contributo di relatori di eccellenza e a un programma di grande attualità e interesse.

Nella prima parte saranno delineati i macro-scenari economico-giuridico-sociali del public-procurement (tutele lavoristiche, appalti verdi e in sanità, opere pubbliche) e le prospettive evolutive che si concretizzeranno nell’immediato futuro: le nuove direttive UE attualmente in fase di elaborazione e l’applicazione dell’intelligenza artificiale nel sistema degli appalti.
La seconda parte sarà articolata in sessioni verticali e parallele dedicate alle questioni operative più avvertite nei settori dei servizi e forniture, dei lavori pubblici, del procurement sanitario e dei servizi sociali.
 
In vista di questo importante appuntamento, vorrei condividere alcune delle questioni più attuali e controverse nel dibattito giurisprudenziale a partire dalla ricorrente dialettica tra diritto interno e unionale, che, come noto, caratterizza (storicamente) la materia degli appalti pubblici.
 
Recenti pronunce e ordinanze dei giudici amministrativi hanno riportato in evidenza la ricorrente questione della compatibilità col diritto eurounitario di diverse disposizioni del vigente Codice.
 
A partire dalle norme che, per ragioni di efficienza, semplificazione e/o tempestività delle procedure di aggiudicazione, prevedono una serie di “automatismi esplusivi”, tendenzialmente non ritenuti in linea con i principi e le direttive UE da parte della giurisprudenza della Corte di Giustizia.
 
I. Con l’ordinanza n. 6562 del 2 aprile 2025, il TAR Lazio, Sezione IV-ter, ha sollevato rilevanti questioni interpretative in materia di esclusione automatica dalle gare pubbliche e applicabilità dell’istituto del self-cleaning, nel contesto dei raggruppamenti temporanei di imprese.
 
I giudici romani hanno sollecitato un pronunciamento chiarificatore della CGUE sulla compatibilità dell’art. 94, comma 6, del Codice, che prevede, come noto, l’esclusione dell’operatore economico “che ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti”, fatta salva – tra l’altro –  l’eventuale estinzione perfezionata anteriormente alla scadenza del termine di presentazione dell’offerta.
 
L’ordinanza prende le mosse dall’esclusione di un RTI per  violazioni tributarie in capo a una mandante, che superavano la soglia di rilevanza prevista dall’allegato II.10 del Codice.  Il TAR evidenzia come tali violazioni, ancorché successivamente estinte prima dell’esclusione, non abbiano consentito il ricorso al self-cleaning in quanto l’estinzione del debito fiscale era avvenuta dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte.
 
Il Collegio romano ha censurato proprio questo automatismo normativo, ritenendo che lo stesso non trovi fondamento nella disciplina unionale, e che impone un’interpretazione e applicazione più conformi ai principi di proporzionalità, ragionevolezza e tutela dell’affidamento.  I giudici hanno osservato come tale limite temporale per l’estinzione del debito tributario non sia previsto dalle direttive né, tantomeno, possa considerarsi ragionevole, non essendo «giustificato da apprezzabili ragioni». Ciò sarebbe confermato dall’articolo 57 della direttiva 2014/24/UE, per il quale l’esclusione <<non è più applicabile quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe». Le direttive non prevedono sbarramenti temporali rigidi per l’adozione di queste misure.
 
Sarà quindi la Corte di Giustizia UE a pronunciarsi sulla compatibilità dei limiti interni per la regolarizzazione delle violazioni fiscali con i principi e le direttive UE.
 
Va segnalata incidentalmente, in tale contesto, anche la recente sentenza Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 25 marzo 2025 n. 2464, la quale ha invece affermato che “La normativa che prevede l’esclusione dall’appalto per gravi violazioni contributive, pur prevedendo conseguenze significative per gli inadempimenti, è costituzionalmente legittima poiché bilancia l’esigenza di tutela dei lavoratori, portatori di interessi di rilievo costituzionale, con meccanismi che incentivano il datore di lavoro alla regolarizzazione spontanea, garantendo così la proporzionalità e la ragionevolezza delle misure adottate”.
 
Si tratta, all’evidenza, di due piani – quello della legittimità costituzionale e quello della compatibilità col diritto dell’Unione – ben distinti tra loro.
 
II. Altra questione sollevata dal Tar Lazio si riferisce a due previsioni contenute nell’art. 97 del Codice relative all’applicazione delle cause di esclusione nei RTI, e, precisamente:

a) l’obbligo per il raggruppamento di comunicare, già in sede di offerta, l’eventuale esistenza di una causa escludente relativa a uno dei suoi componenti, anche qualora quest’ultimo abbia attestato nel DGUE la propria regolarità fiscale;
b) l’obbligo di estromettere o sostituire tale soggetto prima ancora che la stazione appaltante abbia comunicato la sussistenza della causa escludente.
 
Le due prescrizioni si fondano su una presunzione assoluta di conoscenza interna al raggruppamento, valorizzata dalla giurisprudenza nazionale (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2024, n. 6944), secondo cui i componenti del RTI sarebbero tenuti a conoscere la situazione degli altri. Anche tale impostazione, secondo il TAR, si pone in contrasto con il principio di proporzionalità, nella misura in cui impone un’esclusione automatica anche in assenza di una conoscenza effettiva. I giudici richiamano sul punto la sentenza della Corte di Giustizia, causa C-210/21, secondo cui «l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE, in combinato disposto con l’art. 57, par. 4, lett. h), e alla luce del principio di proporzionalità, osta a una normativa nazionale (…) che imponga l’esclusione automatica dell’offerente per fatti riferibili all’impresa ausiliaria, senza consentirne la sostituzione». Principi, questi, che si ritengono applicabili anche ai raggruppamenti e consorzi.
 
Dunque, secondo l’impostazione eurounitariamente orientata e ritenuta preferibile dal Tar Lazio: a) l’eventuale dichiarazione inveritiera resa da un componente non può automaticamente travolgere l’intero RTI, salvo che non emerga una conoscenza effettiva da parte della mandataria; b) la sostituzione o estromissione del componente colpito da causa di esclusione deve potersi attivare anche dopo la presentazione dell’offerta, e non esclusivamente in via preventiva. In altri termini, «la necessità di “prevenire” la stazione appaltante costituisce un limite non proporzionato rispetto all’obiettivo di assicurare che la commessa pubblica sia ottenuta dal miglior offerente e non congruente con la sua natura, pena la trasformazione dell’istituto del self cleaning (…) in una sorta di leniency programme» nonché l’instaurazione di forme di responsabilità oggettiva (per fatto altrui) anche in assenza, quantomeno, di colpa del soggetto (come accade per l’avvalimento, dove l’omessa conoscenza è imputabile solo per colpa o dolo).
 
Va ricordato che la medesima disciplina è anche oggetto di un’ordinanza di rimessione  alla Corte costituzionale (Cons. Stato, ord. 11.9.2024 n. 7518), che dovrà pronunciarsi sulla sua conformità ai principi fondamentali dell’ordinamento interno.
 
L’ordinanza di rimessione evidenzia dunque ancora una volta la ricorrente difficoltà per il legislatore nazionale nell’individuare una corretta sintesi ed un punto di equilibrio tra le istanze di efficienza e tempestività delle procedure, sottese agli automatismi sopra richiamati, da un lato, e i principi unionali di proporzionalità e concorrenza, dall’altro, che richiedono all’opposto valutazioni in contraddittorio e motivate decisioni della stazione appaltante (con inevitabile aggravamento delle procedure).
 
III. Ancora, sintomatica della frizione esistente tra le categorie giuridiche nazionali e quelle eurounitarie, è la recente pronuncia del Consiglio di Stato (sez. V 2/4/2025 n. 2776), in tema di affidamento dei servizi legali difensivi, ove la giurisprudenza (amministrativa e contabile) e la prassi hanno tendenzialmente distinto tra “incarico/contratto d’opera intellettuale” per la singola vicenda difensiva e “appalto di servizi” nel caso di prestazioni strutturate relative ad un determinato fabbisogno di esigenze difensive e consulenziali non limitate ad un singolo affare.
 
Palazzo Spada, al fine di risolvere la questione dell’applicazione delle norme sulla tracciabilità e sul pagamento del contributo ANAC ha precisato che “I servizi legali sono qualificabili come appalti pubblici, pur se esclusi dalle regole dell’evidenza pubblica. Anche gli incarichi di difesa o consulenza rientrano nella nozione comunitaria di appalto, con obbligo di tracciabilità tramite CIG. Anche in forza della legislazione comunitaria la quale non distingue – ricomprendendole in un’unica generale nozione di appalto pubblico di servizio legale – tra singola difesa in giudizio e attività di consulenza legale, prescindendo dalla nozione civilistica nazionale e attraendo anche negozi qualificabili come contratto d’opera o contratto d’opera intellettuale”.
 
Una pronuncia pienamente condivisibile che, in coerenza al primato del diritto UE – che comprende anche la prevalenza delle categorie giuridiche unionali –  e dei ricevuti principi di neutralità/indifferenza della forma giuridica dei contratti e della qualificazione civilistica fornita da ogni Stato membro,  potrà contribuire a superare le resistenze interne della prassi e della giurisprudenza che ancora si registrano nel sussumere anche i singoli “incarichi” difensivi o consulenziali nella categoria dell’appalto di servizi.
 
D’altra parte è ben noto come la nozione di “operatore economico” comprenda anche le persone fisiche (e quindi i liberi professionisti), mentre il contratto d’opera intellettuale non può più rimanere estrano o “altro” rispetto all’estesa latitudine della categoria dell’appalto pubblico di servizi (che si colloca, come ricorda anche il Consiglio di Stato, su un piano ben diverso dall’appalto di servizi in senso civilistico).
 
Nel Forum Appalti si discuterà anche di questo, in particolare nella prospettiva della revisione delle direttive UE e della permeabilità del Codice dei contratti pubblici.

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