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Governare la complessità: la chiave per una PA sostenibile ed efficace


Nel dibattito contemporaneo sulla sostenibilità, è ormai palese (o dovrebbe esserlo) quanto l’approccio riduzionista – consolidato nella tendenza a scomporre i problemi complessi in parti indipendenti e a trattarle come se fossero isolate – sia inadeguato.

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Complessità nella governance pubblica: l’inadeguatezza dell’approccio riduzionista

Questa impostazione, basata su compartimenti stagni e procedure lineari, è incapace di cogliere le interazioni profonde e le retroazioni che caratterizzano le sfide sistemiche odierne. 

L’interconnessione profonda tra dimensioni ambientali, economiche e sociali insita nella sostenibilità impone un cambio di paradigma. Serve pensiero sistemico. E serve comprendere i sistemi complessi.

Complessità e visione integrata per una PA sostenibile

In questo contesto è essenziale che la Pubblica Amministrazione si emancipi da un’idea di governance lineare che appartiene più al mito della burocrazia infallibile che alla realtà. E per farlo serve una comprensione diffusa della sistemica e della complessità.

Un sistema è un insieme di elementi interrelati che interagiscono per mantenere un equilibrio o raggiungere uno scopo. Ma nei sistemi complessi – ecosistemi, città, strutture istituzionali – l’insieme conta più delle parti e il peso delle parti dipende dall’insieme. Non si può continuare a considerare ogni ufficio, ogni procedura, ogni policy come entità autonoma. È un approccio settoriale, eredità diretta dell’organizzazione fordista della PA, che non regge più. Serve una visione integrata.

Gli elementi della complessità e la loro rilevanza per una PA sostenibile

La complessità si manifesta attraverso proprietà sistemiche che condizionano profondamente l’efficacia dell’azione pubblica. Riconoscerle è il primo passo per uscire dal paradosso di una PA che, tentando di semplificare, rischia di finire per complicarsi.

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Inferenzialità

L’inferenzialità è la capacità di cogliere relazioni implicite e pattern nascosti anche a fronte di informazioni parziali. È la forma mentis richiesta per navigare l’incertezza, ben lontana dalla logica binaria su cui si costruisce tanta documentazione pubblica e sulla quale – inevitabilmente – si costruisce il concetto di “norma”.

In assenza di dati perfetti – che, a onor del vero, non esistono – la capacità di inferire è essenziale. L’analisi predittiva dei sistemi sanitari regionali, ad esempio, si fonda su micro-trend apparentemente marginali ma significativi, e che spesso non vengono “generati” in un contesto sanitario. Attendere certezze in questi casi non è prudenza, è paralisi.

Adattività

L’adattività è la risposta dinamica a contesti che cambiano. Non è solo flessibilità: è capacità di trasformazione strutturale. Le rigidità regolatorie con cui molte amministrazioni continuano ostinatamente a operare rivelano quanto l’adattività sia ancora un concetto esotico nell’applicazione di un  diritto amministrativo che, peraltro, tale adattività talvolta la prevede (ma che senza precedenti fa paura ai funzionari: quante volte ci si chiede: “siamo i primi a farlo?”). Eppure, l’esperienza di quelle amministrazioni che hanno il coraggio di cambiare, sperimentare approcci nuovi, essere “i primi” a fare qualcosa dimostra che un altro modello è possibile. Ma bisogna volerlo ed avere il coraggio di attuarlo.

Emergenza

L’emergenza è l’apparizione apparentemente spontanea di proprietà nuove, frutto dell’interazione tra elementi. Non pianificabili, non controllabili. E per questo tanto temute dai pianificatori.

La resilienza urbana, ad esempio, non si costruisce con un bando ma con un ecosistema di relazioni istituzionali e sociali. Pretendere che la complessità risponda a una delibera è sintomo di una tecnocrazia nella migliore delle ipotesi ingenua.

Non linearità

La non linearità smentisce il mito della proporzionalità: piccoli interventi possono avere effetti enormi, e viceversa. È la fine del “più risorse uguale più risultati”. Pensiamo alla digitalizzazione dei servizi pubblici. L’introduzione mirata di un sistema di autenticazione centralizzato, se ben progettato e interoperabile, può attivare un processo virtuoso di accesso integrato a servizi sanitari, previdenziali, fiscali. Al contrario, l’avvio di grandi piattaforme digitali slegate dai bisogni reali degli utenti e dalle infrastrutture esistenti, finisce spesso per generare più frustrazione che benefici. E resta il paradosso di una PA più tecnologica ma meno accessibile.

Feedback

Il feedback è il processo per cui le azioni generano conseguenze che a loro volta modificano il sistema. È il meccanismo che consente l’apprendimento. In molte politiche pubbliche il feedback è del tutto assente. La valutazione è talvolta posticcia, spesso meramente formale. Eppure, nei programmi educativi o nei servizi sociali, costruire circuiti di retroazione può fare la differenza tra un progetto vivo e uno destinato a diventare una cartella di un faldone (fisico o digitale che sia).

Complessità e governance pubblica della sostenibilità

Confondere il complesso con il complicato è un errore diffuso, nel privato come nella pubblica amministrazione. Il primo richiede intelligenza sistemica, il secondo si basa sulla burocrazia. E spesso si preferisce la seconda strada: più rassicurante, più conforme. È quella che Sabino Cassese chiama “burocrazia difensiva”, nemica non solo del cambiamento, ma dell’efficienza.

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Agenda 2030 impone un salto logico: i suoi 17 SDG non sono un menù da cui selezionare all’occorrenza l’ingrediente specifico di una ricetta magica, ma un insieme integrato. Non lo si può ignorare senza rendere le politiche incoerenti o, peggio, dannose. Promuovere la mobilità sostenibile senza agire su istruzione, salute e lavoro significa ignorare le interdipendenze. Eppure, il principio dell’interconnessione raramente si riflette nei documenti programmatici della PA, ancora troppo settoriali.

Serve un cambiamento profondo. Serve leggere i territori come sistemi viventi, dove ogni intervento puntuale modifica o può modificare equilibri complessivi. Serve adottare strumenti analitici che misurino non solo ciò che è facile, ma ciò che è rilevante. E serve farlo con una consapevolezza: il digitale non è solo un veicolo di efficienza. È l’infrastruttura della complessità.

La sostenibilità non è un obiettivo: è una qualità emergente di sistemi che sanno apprendere e adattarsi. Non si ottiene per decreto, non si assegna per capitolo di spesa. Si costruisce nel tempo, con visione, competenza e – non da ultimo – con il coraggio di abbandonare illusioni semplificatrici.

Per una descrizione puntuale delle caratteristiche della complessità e dei sistemi complessi, si rimanda all’episodio completo del podcast Sostenibilità Digitale, da cui questo testo è tratto e che può essere ascoltato sulle maggiori piattaforme:



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