Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

ESG, crisi e rinascita del paradigma di sostenibilità: ne va del futuro


Il 2025 segna un punto critico nel percorso verso l’Agenda 2030. Mancano cinque anni al traguardo fissato dalle Nazioni Unite per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, ma l’orizzonte appare più confuso che mai.

Contabilità

Buste paga

 

Non si tratta soltanto di ritardi operativi o di carenze nei sistemi di rendicontazione: siamo immersi in una crisi più profonda, quella della fiducia.

Una fiducia incrinata del linguaggio stesso della sostenibilità, che per oltre un decennio ha rappresentato l’ambizione di integrare economia, giustizia sociale e tutela ambientale. Oggi l’acronimo ESG, da bussola globale, è diventato un terreno di scontro ideologico, regolatorio e strategico.

ESG in crisi, tra contraccolpi politici e greenhushing aziendale

Negli Stati Uniti, il ritorno di Donald Trump ha innescato un contraccolpo sistemico. La centralità dichiarata dei combustibili fossili, l’indebolimento degli impegni ambientali federali e il rilancio dell’industria tradizionale hanno segnato una netta inversione di rotta. Il fenomeno non si limita solo alle parole: grandi investitori hanno ridotto il loro supporto alle risoluzioni climatiche, e giganti della finanza come BlackRock si sono sfilati da iniziative come la Net Zero Asset Managers Initiative, mettendo in discussione oltre 50 trilioni di dollari gestiti secondo criteri sostenibili. Parallelamente, colossi come Meta, McDonald’s e American Airlines hanno smantellato i loro programmi di diversity, equity & inclusion (DEI), lasciando emergere un ritorno a logiche più tradizionali e meno trasformative.

A rafforzare il segnale emerge una nuova strategia comunicativa, più silenziosa ma altrettanto eloquente, nota come greenhushing. Molte aziende, temendo ripercussioni reputazionali o tagli ai finanziamenti, stanno rimuovendo silenziosamente ogni riferimento alla sostenibilità dai propri siti web, piani strategici e relazioni pubbliche. Walmart, Kraft Heinz e Ford rappresentano esempi di una ritirata cauta in cui la sostenibilità torna ad essere percepita come un rischio reputazionale più che un asset valoriale. Anche le remunerazioni ESG dei manager sono state ridotte da gruppi come UBS, HSBC e Standard Chartered. In parallelo, numerose ONG statunitensi hanno “riconfezionato” le loro iniziative climatiche, evitando esplicitamente di usare termini come “climate change” e preferendo invece etichette più neutre come “resilienza” o “innovazione locale”.

Crisi dell’ESG in europa e paradossi tecnologici

E l’Europa? Il continente che aveva fatto della sostenibilità il pilastro della ripartenza post-pandemica mostra oggi segnali evidenti di affanno. Di recente (il 14 aprile scorso), il Parlamento europeo e Consiglio UE hanno approvato formalmente la prima procedura di revisione prevista dal Pacchetto Omnibus. Vengono modificati i termini di recepimento e talune date di applicazione delle materie descritte e declinate nella Direttiva 2022/2464/UE (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD) e nella Direttiva 2024/1760/UE (Corporate Sustainability Due Diligence Directive – CSDDD), rinviando l’obbligo di rendicontazione di sostenibilità (CSRD) al 2028 per molte grandi imprese, e posticipando al 2027 l’applicazione della direttiva sulla due diligence (CSDDD). Ufficialmente si tratta di semplificazioni normative. Nella sostanza, è un messaggio chiaro: la politica chiede una pausa, mentre le urgenze globali incalzano.

Assistenza e consulenza

per acquisto in asta

 

Ma il problema va oltre i ritardi regolatori. È una crisi di visione. L’Europa, che per anni ha guidato l’innovazione normativa in ambito ESG e introdotto strumenti come la Tassonomia Verde, si trova ora stretta tra due spinte contrastanti: da un lato, l’urgenza di rispondere alle crisi climatica e sociale; dall’altro, il timore che un eccesso di vincoli penalizzi la competitività delle imprese europee, ampliando il divario con mercati più permissivi come Stati Uniti e Asia.

In questo contesto si inserisce anche un paradosso tecnologico che riguarda proprio il cuore dell’innovazione. L’intelligenza artificiale, spesso considerata un alleato per ottimizzare processi ESG e migliorare la reportistica, si rivela, in realtà, ad alto impatto ambientale.

Secondo un tweet dello stesso CEO di OpenAI, anche un semplice “grazie” rivolto a un chatbot come ChatGPT può comportare un consumo energetico enorme, con costi stimati in decine di milioni di dollari in termini di elettricità e risorse idriche.  

L’ESG come terreno di scontro: verso una transizione della transizione

Il quadro si completa con un’indagine più ampia sulle dimensioni sociali e di governance. Ad esempio,  solo il 6% di imprese in Italia sta realmente sviluppando una cultura inclusiva sul posto di lavoro.

È quanto emerge dall’EY European DEI Index, un’analisi sul tema della diversità e inclusione realizzata da EY in collaborazione con FT-Longitude, raccogliendo l’opinione di 900 manager (dirigenti e C-suite) e 900 dipendenti provenienti da 9 Paesi europei, inclusa l’Italia. E ancora, una ricerca della startup universitaria Ermes della Sapienza Università di Roma rivela che meno di un’azienda quotata su tre integra obiettivi ESG nei sistemi di incentivazione del top management coerenti con il proprio piano strategico in chiave di sostenibilità.

Siamo quindi entrati in quella che potremmo definire la transizione della transizione. L’ESG non è più un valore universale. È diventato un terreno di scontro, una sigla da difendere o da screditare, un linguaggio a tratti vuoto. Eppure, è proprio nei momenti di crisi che può maturare un ripensamento radicale.

Italia e Agenda 2030: una distanza crescente tra obiettivi e realtà

Nel contesto di un’evoluzione globale sempre più complessa, l’Italia si colloca in una posizione di fragilità rispetto al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dall’Agenda 2030. Con il ritmo attuale, solo il 17% dei Target globali monitorati verrà raggiunto entro il 2030, mentre non si registrano progressi, o si osservano addirittura peggioramenti, per almeno un terzo dei Target, come descritto nel Rapporto ASviS 2024 a cui si rimanda. Secondo il Rapporto, tra il 2010 e il 2023 si riscontrano peggioramenti per sei Goal: 1 (povertà), 6 (acqua e servizi igienico sanitari), 10 (disuguaglianze), 15 (ecosistemi terrestri), 16 (governance) e 17 (partnership).

Miglioramenti molto contenuti, meno di un punto all’anno, si registrano per sette Obiettivi: 2 (cibo), 7 (energia pulita), 8 (lavoro e crescita economica), 9 (innovazione), 11 (città sostenibili), 13 (clima) e 14 (ecosistemi marini). Miglioramenti più consistenti si evidenziano per tre Goal: 3 (salute), 4 (educazione) e 5 (genere).

Microcredito

per le aziende

 

L’unico Goal con un aumento superiore al punto all’anno è quello relativo all’economia circolare (12). In sintesi, dei 37 obiettivi da raggiungere entro il 2030 solo otto (il 21,6%) sono raggiungibili, 22 (il 59,5%) non sono raggiungibili e sette (il 18,9%) hanno un andamento incerto. A conferma del ritardo del nostro Paese anche rispetto all’Europa si rileva che i dieci obiettivi raggiungibili per l’UE si riducono a cinque per l’Italia. Di contro i cinque non raggiungibili a livello europeo diventano dieci per l’Italia.

Siamo su “un sentiero di sviluppo insostenibile” ma oltre ai numeri, pesa anche un problema di governance: manca ancora un sistema efficace per coordinare e monitorare le politiche per lo sviluppo sostenibile.

Secondo Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS, per invertire la rotta serve un vero cambio di mentalità. Lo sviluppo sostenibile non può essere ridotto a una lista di buone intenzioni o a slogan “green”: richiede scelte sistemiche e coraggiose, capaci di generare cambiamento reale. Anche se la modifica dell’articolo 9 della Costituzione – che tutela ambiente, biodiversità e diritti delle generazioni future – è un passo importante, rischia di restare un principio astratto se non viene attuato con politiche concrete e coerenti.

Il rapporto ASviS lancia un allarme sul crescente scollamento tra istituzioni e cittadini:

  • Il 62% degli italiani è preoccupato per l’ambiente,
  • Il 93% chiede maggiore impegno sul clima,
  • Ma solo il 25% crede che il governo agisca davvero per il bene comune.
  • E appena il 21% ritiene che le decisioni politiche tengano conto del lungo termine.

I nodi critici dell’ESG in italia: quattro game changer decisivi

Questa distanza mina la fiducia e rende più fragile ogni strategia nazionale di sostenibilità. In questo quadro, ASviS individua quattro nodi critici – veri e propri game changer – che determineranno se l’Italia saprà ancora rientrare nella traiettoria dell’Agenda 2030:

  • Autonomia differenziata: senza regole chiare, rischia di accentuare i divari territoriali e frammentare la strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.
  • Rendicontazione ESG: le nuove norme europee possono diventare una leva di competitività. Ma senza formazione, incentivi e supporto alle PMI, il rischio è che vengano vissute solo come un onere burocratico, alimentando il greenwashing.
  • Regolamento sul ripristino della natura: è una grande opportunità per rigenerare territori e creare occupazione. Tuttavia, lo stallo a livello europeo frena l’attuazione e penalizza i Paesi più lenti, come l’Italia.
  • Tutela ambientale in Costituzione: un passaggio storico, ma ancora privo di risorse e norme applicative. Senza un seguito concreto, resta un principio nobile ma inerte.

Il Regolamento europeo sulla natura e il ritorno al cuore della sostenibilità

Nel cuore del Green Deal europeo, il nuovo Regolamento sul ripristino della natura rappresenta una delle iniziative più audaci e trasformative mai adottate dall’Unione. Non si tratta solo di una direttiva ambientale: è una dichiarazione di priorità. Approvato dal Consiglio nel 2024, il regolamento impone agli Stati membri di riportare in buone condizioni almeno il 20% delle aree terrestri e marine entro il 2030, e l’intero territorio comunitario entro il 2050. È la prima volta che l’UE vincola in modo così esplicito i governi a obiettivi concreti, misurabili e trasversali per la rigenerazione degli ecosistemi.

Foreste, zone umide, fiumi, suoli agricoli, spazi urbani: tutto rientra in un approccio integrato che punta non solo alla conservazione, ma al ripristino attivo. Tra le misure previste figurano la rimozione delle barriere fluviali per restituire continuità ecologica ai corsi d’acqua, la rinaturalizzazione delle torbiere, il ripristino delle praterie marine e la tutela sistemica degli impollinatori. Per le aree urbane, il regolamento introduce per la prima volta un principio semplice e rivoluzionario: non si devono più perdere spazi verdi, ma semmai recuperarli.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Per l’Italia, che dovrà presentare entro il 2026 un Piano nazionale dettagliato, si apre una sfida cruciale: non solo rispettare un obbligo europeo, ma cogliere un’occasione strategica per valorizzare il proprio straordinario patrimonio ecologico, che va dalle Alpi al Delta del Po, dai parchi costieri alle aree interne dimenticate. Il regolamento richiederà un’azione coordinata tra enti locali, istituzioni, imprese e cittadini. Ma può anche diventare un acceleratore di innovazione sociale, occupazione verde e rigenerazione urbana.

Non mancano, però, le difficoltà. Le trattative per l’approvazione hanno visto forti opposizioni da parte di alcuni governi e lobby economiche, preoccupati per l’impatto su settori strategici come l’agricoltura. Il rallentamento del processo normativo europeo, legato anche al clima crescente di sfiducia verso l’agenda ESG, è un segnale che non può essere ignorato. Eppure, è proprio in questo contesto che il Regolamento sul ripristino della natura assume un significato più ampio. Non è solo uno strumento tecnico, ma una risposta simbolica e concreta alla crisi di visione che sta travolgendo l’idea stessa di sostenibilità. In un momento in cui ESG rischia di ridursi a una lista di adempimenti formali o, peggio, a un bersaglio ideologico, la natura torna al centro come orizzonte comune, come infrastruttura essenziale della vita, della sicurezza e del benessere di tutti.

Laudato Sì di Papa Francesco: la voce profetica della natura che chiede cura

In un momento segnato da crescente disorientamento sul fronte della sostenibilità, torna a imporsi con rinnovata attualità l’intuizione profonda contenuta nella Laudato Sì, l’enciclica con cui Papa Francesco, già nel 2015, ha delineato una visione radicalmente innovativa. A dieci anni dalla sua pubblicazione, quell’approccio integrato che intreccia ambiente, giustizia sociale, responsabilità economica e dimensione spirituale appare oggi più che mai necessario. Un orizzonte che sfida la frammentazione delle politiche e dei parametri ESG, suggerendo una via più coerente e umana per affrontare le crisi del nostro tempo.

I Laudato Sì Goals offrono infatti una mappa etica e operativa per ripensare il concetto stesso di sviluppo. Non si limitano alla riduzione della CO₂, ma propongono un cambio di paradigma culturale e valoriale. Tra i sette ambiti indicati ci sono:

  • Risposta al grido della Terra: proteggere la biodiversità, ridurre l’uso di combustibili fossili, garantire accesso equo all’acqua.
  • Risposta al grido dei poveri: difendere i più vulnerabili, dai migranti alle comunità indigene.
  • Economia ecologica: investimenti etici, consumo responsabile, disinvestimento da attività dannose.
  • Stili di vita semplici: sobrietà, uso consapevole delle risorse, diete più vegetali, mobilità sostenibile.
  • Educazione ecologica: formare coscienze e sistemi educativi alla sostenibilità.
  • Spiritualità ecologica: recuperare un senso di sacralità della natura come “creazione”, con meraviglia e gratitudine.
  • Partecipazione comunitaria: promuovere azioni locali, dal basso, per la custodia del territorio.

Questo approccio non ha nulla di nostalgico né di moralistico. È, al contrario, profondamente contemporaneo. Si rivolge a manager, policymaker, progettisti urbani, sviluppatori tecnologici e a tutti coloro che cercano un linguaggio nuovo per immaginare il futuro. Un linguaggio che non riduca la sostenibilità all’ennesimo KPI da monitorare, né a una sigla da inserire nei documenti aziendali, ma che la restituisca alla sua complessità e al suo potenziale trasformativo. Nel Cantico delle Creature di San Francesco, da cui l’enciclica prende il nome, la natura non è una risorsa da sfruttare, ma una sorella da rispettare. Oggi, quell’antica voce risuona più attuale che mai. Perché non c’è digitale, innovazione, economia o impresa che possa prosperare su un pianeta in collasso.

ESG come abilitatore di crescita: risignificare la sostenibilità

In un tempo segnato da incertezze, tensioni globali e profonde trasformazioni tecnologiche, l’acronimo ESG ha perso la sua apparente semplicità. Oggi, più che mai, è urgente risignificare quelle tre lettere: non come vincolo, ma come visione abilitante. Non più solo Environmental, Social, Governance, ma Enabling Sustainable Growth – una crescita sostenibile che sia insieme rigenerativa, inclusiva e lungimirante.  Questo cambio di prospettiva richiede di superare l’approccio burocratico, difensivo, spesso superficiale con cui troppe organizzazioni hanno trattato l’ESG. Serve un salto di qualità, una rilettura sistemica in cui l’ESG diventa infrastruttura strategica per lo sviluppo economico, coesione sociale e tutela ambientale. Servono condizioni abilitanti: strumenti semplici e accessibili per le PMI, formazione manageriale diffusa, incentivi chiari, governance multilivello efficace. Soprattutto, serve una leadership capace di ispirare fiducia e orientare il cambiamento con coerenza.

Trasforma il tuo sogno in realtà

partecipa alle aste immobiliari.

 

Rileggere l’ESG come leva di crescita sostenibile non è un’operazione semantica: è una scelta di campo. Significa progettare un futuro in cui le imprese generano valore condiviso, la tecnologia è al servizio dell’ambiente, la finanza premia l’impatto, e la politica torna a essere visione collettiva. Significa, in fondo, restituire senso al concetto stesso di “progresso”.

Abbiamo ancora tempo? Forse sì, ma non possiamo più sprecarlo.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

La tua casa è in procedura esecutiva?

sospendi la procedura con la legge sul sovraindebitamento