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Papa Francesco, cosa lascia nelle casse della Chiesa: l’impatto economico


Mentre il mondo si prepara a dare l’ultimo saluto a Papa Francesco, domani 26 aprile 2025, uno degli aspetti meno visibili ma più dirompenti del suo pontificato torna al centro dell’attenzione: la rivoluzione nelle finanze del Vaticano.

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Dalla sua elezione nel 2013 Bergoglio ha voluto sanare i conti della Santa Sede, spingendo per maggiore trasparenza e controlli rigorosi sui bilanci interni. Ne è esempio il Bilancio di missione 2022 presentato dalla Segreteria per l’Economia, con entrate complessive pari a 769,6 milioni di euro e uscite per 803 milioni. Il disavanzo di 33,4 milioni (contro i 42 previsti l’anno precedente) testimonia la pressione sui conti vaticani, giustificando la spending review invocata da Francesco ai cardinali: “uno sforzo ulteriore da parte di tutti affinché un “deficit zero” non sia solo un obiettivo teorico”.

Nel raccontare l’eredità economica di Papa Francesco, è impossibile ignorare un dato spesso trascurato nell’opinione pubblica: il Vaticano non è solo simbolo della cristianità, ma è a tutti gli effetti uno Stato con tutte le responsabilità che ciò comporta.

Ha un bilancio pubblico, una banca centrale (lo Ior), un’autorità di vigilanza finanziaria, una politica immobiliare e relazioni economiche internazionali. Francesco ha agito come un capo di Stato consapevole di dover rendere conto, in trasparenza, alla comunità dei fedeli e all’opinione pubblica globale. E in questo senso, si può anche parlare di una sorta di “rivoluzione economica” di Francesco.

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Le riforme economiche di Papa Francesco che hanno scosso il Vaticano

L’opera di riforma interna ha puntato a centralizzare le risorse economiche e cancellare privilegi secolari. Durante il suo pontificato, Papa Francesco ha trasferito oltre 2 miliardi di euro di beni alla gestione dell’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) e ha istituito la Segreteria per l’Economia, riformato il Consiglio per l’Economia e rafforzato il Revisore generale.

Il bilancio preventivo (cioè quello che prevede entrate e spese dell’anno successivo) della Santa Sede viene solitamente approvato a ridosso dell’anno in corso, a volte anche in ritardo. Con Papa Francesco si è cercato di anticipare i tempi, approvandolo entro l’anno precedente, come farebbe un qualsiasi Stato o istituzione ben strutturata.

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Misure concrete hanno abolito affitti agevolati: i cardinali pagano ora canoni di mercato per le case vaticane e nessuno può considerarsi al di sopra delle regole. Francesco ha chiesto tagli “essenziali” e una riorganizzazione interna per evitare duplicazioni tra i dicasteri.

Nonostante ciò, il deficit operativo ha superato nel 2023 i 90 milioni di dollari, con l’ulteriore grattacapo del fondo pensioni in squilibrio. Il Papa ha insistito affinché gli enti in attivo supportassero quelli in perdita, promuovendo una logica di corresponsabilità tra le istituzioni vaticane.

Ior, la banca vaticana durante Francesco: trasparenza e utili record

Nel 2023 lo Ior, la controversa “banca del Papa” che per anni ha fatto parlare di sé per scandali e opacità, ha chiuso l’anno con un utile netto di 30,6 milioni di euro. Un risultato solido, frutto di operazioni tradizionali ma prudenti: interessi su prestiti e obbligazioni, commissioni sui servizi bancari, niente speculazioni rischiose.

Ma non è solo questione di profitto. L’istituto ha anche rafforzato il suo cuscinetto di sicurezza patrimoniale, migliorando il cosiddetto “coefficiente Tier 1”, una misura internazionale che dice quanto una banca è in grado di resistere agli shock. E nel frattempo ha visto crescere i fondi affidati dai clienti (soprattutto congregazioni religiose, diocesi, enti caritativi) fino a 5,4 miliardi di euro. Segno che, nonostante il passato burrascoso, lo Ior oggi è percepito come affidabile.

Sul piano degli investimenti, l’Istituto ha seguito la linea tracciata da Francesco: niente finanza sporca, niente soldi in settori che vadano contro la morale cattolica, come armi, pornografia, carbone o fondi opachi. Gli investimenti devono rendere, sì, ma senza contraddire i valori che il Vaticano predica.

E i controlli? Qui arriva un altro dato interessante. Nel 2023 l’autorità vaticana antiriciclaggio (Asif) ha ricevuto 123 segnalazioni di operazioni sospette: 118 provenivano dallo Ior stesso. Non è un’anomalia, anzi: significa che i sistemi interni stanno funzionando, che c’è una vigilanza attiva, e che oggi si preferisce segnalare troppo piuttosto che rischiare di coprire qualcosa.

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Anche il numero di inchieste penali legate a operazioni finanziarie è in calo. I manager voluti da Francesco (volti nuovi, molti laici, con esperienza vera di finanza) hanno stretto le maglie e imposto regole. Dopo anni di scandali e titoli sui giornali, la banca vaticana sembra essersi rimessa in carreggiata. E questa, per il Vaticano, è forse una delle eredità più concrete lasciate da Papa Francesco.

Caso Londra, investimenti sbagliati e condanne: le ombre sulle finanze vaticane

Tra i buchi neri del pontificato sul fronte economico, ce n’è uno che ha fatto storia (e giurisprudenza): il famigerato caso del palazzo di Londra. Una vicenda da thriller finanziario che ha messo in imbarazzo i vertici della Santa Sede, esponendo alla luce del sole il lato più opaco della gestione degli investimenti vaticani.

Nel dicembre 2023, dopo tre anni di indagini e udienze, il tribunale vaticano ha condannato il cardinale Angelo Becciu a 5 anni e 6 mesi di reclusione per peculato. Era accusato di aver approvato, e in alcuni casi orchestrato, operazioni finanziarie ad alto rischio, tra cui l’acquisto milionario di un palazzo a Chelsea, nel cuore di Londra, con fondi della Segreteria di Stato.

Il danno stimato è di oltre 600 milioni di euro bruciati tra consulenze discutibili, fondi offshore e valutazioni gonfiate. Lo IOR, chiamato a rispondere per la propria immagine, si è costituito parte civile chiedendo 138 milioni di euro di risarcimento per il discredito subito.

A fare da sfondo, un’altra voce in rosso: nel 2022 l’Apsa, l’ente che gestisce il patrimonio immobiliare e finanziario del Vaticano, ha chiuso i conti con un disavanzo di 13,2 milioni di euro (in netto peggioramento rispetto al -2,5 milioni del 2021). A pesare sul bilancio, secondo fonti ufficiali, sono stati due fattori: la volatilità dei mercati finanziari e una strategia di investimento ultra-prudente, voluta da Francesco, che ha ridotto l’esposizione al rischio ma anche i potenziali guadagni.

Donazioni, Obolo di San Pietro e bilanci in rosso: i numeri del Vaticano

Le offerte dei fedeli rappresentano una voce cruciale. L’Obolo di San Pietro ha registrato 52 milioni di entrate a fronte di 109,4 milioni di uscite nel 2023. Solo una parte è stata destinata a opere caritative: il grosso è servito a sostenere la Curia. I principali donatori restano Stati Uniti, Germania e Italia.

Negli anni, Papa Francesco ha cercato di ricostruire la fiducia dei fedeli con comunicazioni più trasparenti. La sfida resta quella di invertire la tendenza al calo delle donazioni e di migliorare la sostenibilità delle spese istituzionali.

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Collaborazioni internazionali e controlli anti-riciclaggio

Nel silenzio dei palazzi vaticani si muove da anni una diplomazia finanziaria poco visibile, ma strategica. Perché se è vero che lo Ior non è una banca “come tutte le altre”, è altrettanto vero che oggi la Santa Sede gioca – e viene giudicata – secondo le regole del sistema globale.

L’Asif, l’autorità antiriciclaggio del Vaticano, ha smesso di essere una sigla interna sconosciuta: è ormai un attore presente nei circuiti che contano, come Moneyval (il comitato del Consiglio d’Europa contro il riciclaggio) e la rete Egmont che collega le unità di intelligence finanziaria di tutto il mondo. Ma non si tratta solo di presenze simboliche.

Nel 2023 il Vaticano ha stretto protocolli d’intesa con nove Paesi, tra cui Algeria, Bahamas e Senegal: non proprio superpotenze, ma piazze finanziarie dove è importante fare rete e vigilare. In parallelo, sono partite collaborazioni ad alto livello con la Banca d’Italia e persino la Bundesbank tedesca: segnali inequivocabili di una Santa Sede che vuole essere allineata agli standard europei, ma senza perdere la propria autonomia.





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