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Porta d’accesso all’Africa: la nuova rotta commerciale Russia-Nigeria


di Riccardo Renzi

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Nel maggio 2025 salperà dal porto russo di Novorossiysk, sul Mar Nero, la prima nave della A7 African Cargo Line diretta a Lagos, Nigeria. Non è solo il varo di una nuova rotta commerciale lunga oltre 5mila miglia nautiche: è l’inizio di un potenziale sconvolgimento dell’ordine geopolitico in Africa occidentale e, per estensione, del commercio globale. In un momento in cui le catene di approvvigionamento mondiali sono sempre più frammentate, la nascita di un asse Russia-Nigeria–América Latina può essere letta come un segnale inequivocabile di un mondo che si allontana rapidamente dalle dinamiche unipolari post-Guerra Fredda.
Con tariffe dimezzate per i container, un commercio marittimo diretto e senza intermediazioni occidentali, e una penetrazione logistica accompagnata da partnership strategiche nel settore agricolo, minerario e militare, Mosca e Abuja stanno aprendo una nuova fase di relazioni Sud-Sud. Ma dietro i dati e i numeri si cela un gioco complesso di interessi, influenze e possibilità. Questo è un gioco di scacchi in cui ogni mossa commerciale è anche una mossa politica.
Il nuovo corridoio marittimo, che parte dal porto di Novorossiysk e attraversa il Mediterraneo fino a Gibilterra, per poi costeggiare l’Africa occidentale fino a Lagos, rappresenta un’alternativa concreta alle tradizionali rotte commerciali dominate da hub europei come Anversa e Rotterdam o mediorientali come Suez. Con il taglio del 50% sui costi di trasporto, la Russia punta a conquistare un posto stabile nei mercati africani.
La A7 African Cargo Line, compagnia russa specializzata nel trasporto container, gestirà inizialmente la rotta con due navi da 700 TEU. Le merci previste? Cereali, fertilizzanti, macchinari russi in uscita; cotone, minerali e prodotti agricoli africani in entrata. In futuro, il percorso si estenderà anche al Senegal, consolidando la presenza russa nei porti dell’Africa occidentale.
Ma questa è più di una semplice tratta marittima. È una nuova infrastruttura geopolitica, in cui ogni porto, ogni carico, ogni alleanza commerciale diventa un anello nella catena dell’influenza.
Con oltre 200 milioni di abitanti e un’economia che cerca disperatamente di diversificarsi dal petrolio, la Nigeria è oggi uno dei mercati emergenti più ambiti. Il suo ingresso nei BRICS (gennaio 2025) è avvenuto in un momento strategico, permettendole di negoziare da una posizione di forza con attori alternativi all’Occidente.
L’aumento previsto delle esportazioni russe verso Abuja quali grano, mais e fertilizzanti, arriva mentre il Paese lotta per la sicurezza alimentare, vittima di una combinazione letale di cambiamenti climatici, conflitti armati e dipendenza da importazioni costose. Le forniture russe, a prezzi calmierati, rappresentano un’ancora di salvezza. Ma sono anche una leva. Una leva che Mosca può usare non solo per conquistare quote di mercato, ma anche per influenzare scelte politiche, alleanze militari e voti in seno alle Nazioni Unite o alle organizzazioni regionali.
Il successo di Mosca non si gioca solo sulle rotte commerciali. Il vero capolavoro della strategia russa in Africa è la sua penetrazione silenziosa ma decisiva nell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES): Mali, Niger e Burkina Faso. Tre Stati che, dopo essersi sganciati dall’orbita francese (e in parte americana), hanno abbracciato l’assistenza russa sotto forma di addestratori, droni, blindati e tecnologie satellitari.
Nel Mali, i carri armati russi T-72 hanno sfilato a Bamako nel 2024. In Niger, le forze dell’Africa Corps hanno assunto il ruolo lasciato vacante dalle truppe statunitensi. A Niamey, i russi stanno addestrando soldati, ripristinando infrastrutture militari e persino collaborando a progetti minerari.
Ma la strategia della Russia non è semplicemente quella del “nuovo padrone coloniale”. È quella dell’interesse reciproco, del “non interventismo ideologico”: Mosca non impone riforme democratiche, né condiziona i suoi aiuti. In cambio, ottiene accesso alle risorse, influenza e un piede stabile in una regione strategica tra Maghreb, Golfo di Guinea e Medio Oriente.
E qui il quadro si complica. Perché mentre la Russia penetra il Sahel, la Nigeria settentrionale, regioni come Borno, Yobe, Zamfara, Katsina, condivide le stesse ferite, le stesse minacce e le stesse opportunità. Il vuoto lasciato dall’inefficace sicurezza occidentale (Francia, Stati Uniti, ECOWAS) è stato colmato da gruppi armati, milizie jihadiste e reti criminali transfrontaliere.
Ora, con la Russia a pochi chilometri di confine, la Nigeria si trova a un bivio. Coordinarsi con le forze AES e russe potrebbe significare un netto miglioramento della sicurezza. I droni e i satelliti russi, se condivisi, potrebbero tracciare i movimenti jihadisti e colpire in profondità. La cooperazione militare potrebbe stabilizzare le aree di confine.
Ma c’è un rovescio della medaglia. Le operazioni militari russe, spesso brutali e prive di trasparenza (come il massacro di Moura nel 2022), rischiano di incendiare le già tese linee etniche e religiose della Middle Belt. E un’escalation in Niger o in Mali potrebbe rifugiarsi nel Nord della Nigeria, trascinandola in un conflitto regionale.
Sul fronte economico, però, il potenziale è enorme. I mercati del Nord, spesso trascurati da Abuja, potrebbero finalmente inserirsi in una catena del valore regionale supportata da Mosca: bestiame, miglio, cotone, minerali come stagno o oro. Il Niger potrebbe diventare un ponte commerciale tra Nigeria e Mali, con zone di libero scambio sostenute da infrastrutture russe.
Ma tutto ciò richiede fabbriche, ferrovie, sicurezza stradale, energia. E qui si torna al dilemma centrale: la Nigeria vuole un partner o un padrone? Vuole rafforzare la propria capacità produttiva, o limitarsi ad esportare materie prime a basso valore aggiunto come ha fatto per decenni con l’occidente?
La Russia può essere un catalizzatore, ma non il motore. Senza un piano di sviluppo locale che coinvolga le comunità, le università, le imprese indigene, anche il più brillante corridoio commerciale si ridurrà a una nuova autostrada per l’estrazione.
La nuova rotta commerciale Russia-Nigeria è un segnale di cambiamento. Non solo commerciale, ma politico, culturale, strategico. È la prova concreta che il mondo multipolare non è più una teoria accademica, ma una realtà in costruzione. E la Nigeria, in quanto Stato cardine dell’Africa, ha l’occasione storica di dettare le condizioni della propria partecipazione.
Ma ogni partnership richiede lucidità. Per evitare che il Sahel diventi un nuovo teatro di confronto tra grandi potenze, un Afghanistan con il sole del Sahara, serve saggezza, pianificazione e, soprattutto, autonomia. Il futuro del Nord e della Nigeria intera non può essere delegato, né a Mosca né a Washington, ma va costruito in casa, con alleanze che siano strumenti e non catene.
Il secolo dell’Africa può cominciare davvero, ma solo se l’Africa ne detiene le chiavi. E in questo, la Nigeria ha molto da insegnare, e molto da decidere.



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