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Brevi chiose sulle misure protettive tipiche ed atipiche nel procedimento unitario (art. 54, comma 2, CCII)*


Il tema della durata massima delle misure protettive (tipiche ed atipiche) è scandito da tre norme: 

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– dall’art. 8 CCII, che fissa il principio per il quale la durata complessiva delle misure protettive (tipiche e/o atipiche), fino all’omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o all’apertura della procedura di insolvenza, non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe, tenuto conto delle misure protettive fruite nell’àmbito della CNC; 

– dall’art. 19, comma 5, CCII, a mente del quale, la durata complessiva (anche a seguito delle proroghe concesse dal giudice) non può superare i 240 giorni (otto mesi); 

– dall’art. 55, comma 3 (che, nell’àmbito del procedimento unitario, fissa in quattro mesi la durata massima delle misure protettive), e comma 4 (a mente del quale il tribunale può prorogare, in tutto o in parte, la durata delle misure protettive concesse, nel rispetto dei termini di cui all’art. 8, se sono stati compiuti significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione e se la proroga non arreca ingiusto pregiudizio ai diritti e agli interessi delle parti interessate). 

Al vertice di questo sistema vi è, poi, l’art. 6, comma i, della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 (c.d. Insolvency), a mente del quale “Gli Stati membri provvedono affinché il debitore possa beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva”. 

La questione che si agita da qualche tempo nella pratica è se il debitore il quale, nell’àmbito della CNC, abbia già fruito delle misure protettive (necessariamente tipiche) fino a concorrenza del massimo consentito di 240 giorni, possa chiedere (ancora in pendenza del percorso di CNC, la cui durata sia stata prorogata per un tempo più lungo) misure cautelari atipiche d’intonazione selettiva, aventi i medesimi contenuto ed obiettivi delle misure protettive, ossia, come si suol dire, effetti sovrapponibili a quelli delle misure protettive. 

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Analoga questione si pone con riferimento alla scadenza del termine massimo di quattro mesi fissato per la durata delle misure protettive (tipiche ed atipiche) nel procedimento unitario, anche in relazione alla durata della protezione eventualmente già fruita nella CNC, e nel quadro della durata complessiva fissata dall’art. 8 CCII. Inoltre, occorre tenere conto del fatto che, nell’ipotesi di concordato con riserva, la protezione scatta a seguito della presentazione della domanda ex art. 44 CCII, e viene computata a tutti gli effetti nella durata massima fissata dall’art. 8[37]. 

Innanzi tutto, è da precisare che i dodici mesi di durata massima previsti dall’art. 8 CCII si considerano scaduti “solo allorquando la protezione effettiva avrà raggiunto tale consistenza, dovendosi avere riguardo alla protezione effettiva goduta alla quale potranno essere aggiunti gli ulteriori giorni di protezione che consentano di raggiungere il numero di 365”[38]. 

In pratica, il periodo di dodici mesi può essere anche non continuativo. 

Secondariamente, è altresì da precisare che – almeno a mio modo di vedere – il terminus a quo della durata massima delle misure protettive decorre dal momento in cui le misure stesse (tipiche o atipiche, generaliste o selettive) prendono efficacia. Il termine in questione, come si è visto, può essere, pertanto, anche sfalsato. 

In ultimo, stando ad un orientamento non poco diffuso nella giurisprudenza di merito, non si può escludere la possibilità “di concedere misure determinate e riguardanti singoli creditori qualora queste si rendano necessarie a non pregiudicare la contrattazione (e i risultati già conseguiti, nel caso di trattative avanzate)”[39]. 

Si è altresì ritenuto che il lasso temporale previsto dall’art. 19 è riferito unicamente alle misure protettive nell’ambito della CNC, e che, allo spirare della loro durata massima, “si può aggiungere l’adozione di misure cautelari, dal medesimo contenuto delle misure protettive, dovendo il giudice provvedere al contemperamento del sacrificio che viene imposto ai creditori destinatari della misura cautelare con i risultati già conseguiti in caso di trattative avanzate ai fini dell’individuazione di una soluzione negoziata della crisi, per evitare che il sistema possa prestarsi ad una forma di abuso”[40]. 

E se, con riferimento al procedimento unitario, si intende aggiungere un argomento ermeneutico a supporto di questa tesi, lo si potrebbe desumere dall’inciso, contenuto nel terzo periodo del comma 3 dell’art. 54, secondo cui il debitore può richiedere al tribunale, con successiva istanza, misure “anche diverse da quelle di cui al primo periodo”, intendendosi con ciò consentire al debitore – il quale già in base al primo periodo può chiedere misure protettive tipiche in corso di procedura –  “di chiedere le stesse misure quando evidentemente non può più chiederle in base al primo periodo, quando, ad esempio, è scaduto il termine massimo delle misure protettive già chieste; lettura avallata anche dalla eliminazione dal terzo periodo del termine “temporanee”, di modo che il debitore può reiterare la richiesta del blocco delle azioni esecutive, con durata non più temporanee, pur se scaduto il termine annuale per quelle già richieste e confermate”[41]. 

Ma, secondo un opposto orientamento, sarebbe proprio il contenuto atipico rivestito dalle misure cautelari a precludere al debitore di farvi ricorso per ottenere effetti sovrapponibili a quelli delle misure protettive, altrimenti esse si risolverebbero in uno strumento elusivo del termine di durata massima delle misure protettive, che l’art. 8 ha fissato recependo nell’ordinamento interno il contenuto dell’art. 6, par. 8, della dir. (UE) 1023/2019)[42]. 

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Del pari, esaurite le misure previste dall’art. 18 CCII nella CNC, non sarebbe ammesso chiedere (senza che ciò rappresenti un abuso delle stesse) l’accesso alle misure protettive ex art 54, comma 3: ciò perché “non appare possibile inserire durante la fase delle trattative una domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi per vedere garantita una continuità tra le misure protettive di cui all’art. 18 CCII e quelle di cui all’art. 54 CCII”, in quanto “il percorso di uno degli strumenti di regolazione della crisi non può mescolarsi con il percorso della composizione negoziata”[43]. 

Pare a chi scrive che il legislatore (in primis quello eurounitario) abbia ritenuto di stabilire – nel bilanciamento degli interessi in gioco ed al fine di evitare, o comunque di mitigare, il pregiudizio che i creditori potrebbero subìre da una prolungata protezione del patrimonio del debitore – la durata massima inderogabile (fissata, a mio avviso, in maniera non irragionevole) della misura protettiva tipica dello stay

Con la conseguenza che il contenuto atipico delle misure cautelari difficilmente possa essere “piegato” al fine di ottenere effetti sovrapponibili a quelli della misura protettiva tipica, allorché quest’ultima non sia più prorogabile. 

Quand’anche, come è stato detto, se ne affidasse volta per volta la valutazione di proporzionalità al vaglio del giudice[44], ciò provocherebbe in ogni caso un’alterazione dell’equilibrio tra gli opposti interessi e sacrifici, come stabilito ex ante dal formante eurounitario e, di concerto, da quello interno, con la fissazione della durata massima della misura protettiva[45]. 

D’altro canto, “non è ipotizzabile che la legge nazionale ponga un termine inderogabile, in quanto tale previsto dalla direttiva europea, e indichi essa stessa il modo per eluderlo, in contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. in forza del quale la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali“[46]. 

Infatti, il superamento del limite fissato dall’art. 8 CCII “sostanzierebbe, all’evidenza, una forma di abuso della fruizione della cautela in quanto diretta al perseguimento di fini non consentiti”, né “tale protrazione non potrebbe ritenersi, in ipotesi, giustificata perché, come pure è stato sostenuto, sarebbe rimessa al giudice della cautela ogni valutazione prudenziale circa i tempi della proroga sì da contemperare i contrapposti interessi delle parti”. Si  tratterebbe, infatti, in ogni caso “di decisione giurisdizionale che interverrebbe in violazione di una norma di legge e, inoltre,  frusterebbe la finalità, prefissata in sede comunitaria, di perseguire la “certezza del diritto” (in tutti gli stati membri) con l’imposizione di un limite legale massimo di durata della sospensione e ciò in contrapposizione e superamento del precedente sistema che vedeva il c.d. automatic stay ininterrottamente protratto dal deposito della domanda di abbrivio dello strumento di risoluzione del la crisi e sino alla definizione del relativo procedimento”[47]. 

Altra questione è se possa essere predicata una continuità oltre la durata massima fissata dall’art. 8 CCII tra le misure protettive diverse dallo stay e le misure di tutela cautelare innominata e selettiva, tendenti al raggiungimento del medesimo obiettivo di protezione. 

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A rigor di termini, siffatta consecuzione non è, a mio avviso, inibìta dalla norma unionale (che, come si è detto, riguarda soltanto lo stay), ma lo sarebbe dall’art. 8 CCII, che invece non distingue tra le misure, comprendendole tutte (sia quelle tipiche, che quelle atipiche). 

Né, come si è visto, è possibile piegare la tutela cautelare al raggiungimento di obiettivi che una norma di legge ordinaria (l’art. 8, per l’appunto) vieta espressamente. 

Nulla impedirebbe, dunque, al legislatore interno di tornare (nel rispetto della norma unionale ed avuto riguardo al principio di ragionevolezza dei trattamenti differenziati) sulla previsione dell’art. 8, individuando, con riferimento alle misure diverse dallo stay, una durata massima complessiva maggiore dei 12 mesi attualmente previsti. 

Temo, però, che tale ampliamento, seppur in astratto predicabile, possa avere uno scarso costrutto sul piano pratico, non potendosi negare che – considerato l’impatto e la frequenza delle misure protettive di nuova generazione introdotte dal CCII – lo stay tuttora s’imponga, sia nell’ambiente concorsuale che pre-concorsuale, come caput et fundamentum di ogni protezione.



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