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Fabio Pressi (Motus-E): la mobilità elettrica nell’era dei dazi


Mobilità elettrica, a che punto siamo? Ne parliamo con Fabio Pressi, manager che da tempo si occupa di mobilità e dati e dal marzo 2024 è presidente di Motus-E, l’associazione della filiera italiana della mobilità elettrica.

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Negli Stati Uniti, l’amministrazione Trump ha annunciato l’introduzione di dazi sulle auto elettriche cinesi, aprendo un fronte che potrebbe avere ripercussioni anche sul mercato europeo. In Europa, intanto, il clima politico attorno al Green Deal si fa più incerto, con diversi governi che invocano una revisione degli obiettivi climatici.

Con Fabio Pressi, che è anche CEO di A2A E-Mobility, facciamo il punto su questo scenario complesso: tra rischi di rallentamento, opportunità di rilancio industriale e nuovi equilibri globali, l’Italia e l’Europa devono decidere come giocare la partita della sostenibilità.

Fabio Pressi: mobilità elettrica, a che punto siamo

Fabio Pressi, partiamo da una fotografia: qual è oggi lo stato della mobilità elettrica in Italia? A che punto siamo rispetto agli obiettivi di elettrificazione del trasporto privato e pubblico?

    Il primo trimestre del 2025 ci ha consegnato segnali incoraggianti: le immatricolazioni di auto elettriche sono cresciute del 75%, con una quota di mercato salita al 5,2%, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2024. A marzo, in particolare, siamo arrivati al 5,4%. È vero che nello stesso periodo del 2024 pesava l’attesa dei vecchi incentivi, ma è comunque un segnale importante, soprattutto considerando che questo risultato arriva in assenza di supporti alla domanda strutturati.

    Siamo ancora lontani dai numeri di Paesi come Germania, Francia o Regno Unito, ma il mercato sta reagendo positivamente all’arrivo di nuovi modelli entry level, più accessibili e spesso di produzione europea. Questo dimostra che esiste una domanda potenziale pronta a esplodere: serve però un sostegno mirato, anche limitato, per innescare un circolo virtuoso che favorisca non solo le vendite, ma anche la crescita dell’infrastruttura di ricarica e l’adozione in larga scala dell’elettrico.

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    Risultati e ritardi nella diffusione dei veicoli elettrici

    Dall’osservatorio di Motus-E lei, Fabio Pressi, quali sono i progressi vede e quali invece i ritardi o gli ostacoli che ancora frenano una diffusione più capillare?

    Negli ultimi anni abbiamo registrato progressi significativi, soprattutto sul fronte delle infrastrutture. Oggi l’Italia può contare su oltre 60.000 punti di ricarica a uso pubblico, con una diffusione sempre più capillare anche nei centri di medie e piccole dimensioni.

    Anche l’offerta di veicoli elettrici si è ampliata notevolmente. Tuttavia, i ritardi non mancano. Il principale ostacolo resta la mancanza di una strategia chiara e continuativa a livello nazionale ed europeo per il supporto alla filiera e gli incentivi alla domanda. Su quest’ultimo aspetto, l’alternanza di bonus e il loro esaurimento rapido ha generato in Italia incertezza, rallentando le decisioni di acquisto.

    Inoltre, serve un grande lavoro sulla comunicazione: c’è ancora molta disinformazione sui reali costi di gestione di un’auto elettrica, sui suoi benefici e sulle opportunità di ricarica quotidiana, soprattutto domestica.

    Fabio Pressi: l’impatto della geopolitica

    In questo scenario come si abbatte la guerra dei dazi in corso che, in diverso modo, coinvolge l’industria automobilistica europea e cinesi? La partita di Donald Trump e le tensioni tra USA e Cina stanno cambiando le carte in tavola. Quanto pesa, secondo Fabio Pressi, questo nuovo quadro geopolitico sulla filiera della mobilità elettrica in Europa e in Italia?

    La questione dei dazi, in relazione alle politiche europee per l’automotive, rischia di essere letta con un filtro ideologico, quando invece andrebbe affrontata con lucidità strategica. Il vero nodo non è solo commerciale, ma industriale: la transizione alla mobilità elettrica non è un’imposizione normativa del Green Deal, è una traiettoria di mercato globale. Oggi le vendite di veicoli elettrificati crescono a doppia cifra in tutto il mondo, con una quota di mercato del 21% nei primi due mesi del 2025. Pensare di rallentare l’evoluzione tecnologica per rispondere ai dazi è un errore che rischia di farci perdere il treno dell’innovazione, proprio come è successo ad altri settori in passato.

    La filiera automotive europea – e italiana – è orientata all’export e ha già investito miliardi in ricerca, batterie, software e componentistica. Tornare indietro ora significherebbe penalizzare proprio quelle imprese che hanno creduto nel cambiamento, scoraggiando nuovi investimenti e minando la fiducia in un contesto industriale già molto competitivo.

    Il contesto geopolitico impone di reagire con lucidità. Dall’Europa serve una risposta ferma che non può essere il protezionismo, ma la creazione di un contesto favorevole alla competitività: bisogna accelerare sul Piano europeo per l’automotive, modernizzare le regole sugli aiuti di Stato, rafforzare le filiere strategiche – batterie, elettronica di potenza, materiali critici, software – e sostenere la domanda, ad esempio attraverso flotte aziendali e logistica leggera.

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    Anche in Italia possiamo fare la nostra parte, chiedendo all’Europa di passare dalle dichiarazioni ai fatti. Ma soprattutto dobbiamo uscire da una narrazione distorta in cui l’elettrico è visto come una forzatura ecologica: è, prima di tutto, una sfida industriale e tecnologica da giocare come protagonisti

    I rischi dell’Europa nella mobilità sostenibile

    Quali sono oggi, a suo avviso, le principali vulnerabilità della supply chain europea della mobilità elettrica?

    Dal nostro punto di vista, la principale fragilità della supply chain europea è individuabile nella dipendenza esterna per materie prime e tecnologie chiave, in particolare lungo la filiera delle batterie. A questo si aggiunge una capacità industriale ancora troppo disomogenea.

    Le difficoltà non sono solo tecnologiche, ma anche sistemiche: la lentezza nei processi autorizzativi e l’assenza di un piano industriale europeo pienamente operativo complicano lo sviluppo di un ecosistema integrato. In questo contesto, rafforzare il coordinamento tra Paesi membri e accelerare gli investimenti nelle aree strategiche – materiali, componentistica, software – è fondamentale per non perdere terreno nella competizione globale.

    Quali rischi sta correndo l’Europa? (contrazione dei prezzi, rallentamento della diffusione EV, tensioni commerciali, etc..). Quanto è concreto il rischio di perdere la leadership europea nella corsa globale alla mobilità sostenibile?

    Il rischio è concreto, e non possiamo permetterci di sottovalutarlo. L’Europa ha avuto il merito di giocare d’anticipo sulla transizione verso la mobilità sostenibile e digitale, ponendosi obiettivi ambiziosi e indirizzando investimenti pubblici e privati. Ma oggi, tra rallentamento delle immatricolazioni EV, contrazione dei margini industriali, pressioni inflazionistiche e tensioni commerciali internazionali, lo scenario presenta molteplici complessità.

    Abbiamo di fronte competitor molto aggressivi, come la Cina, che ha consolidato una filiera integrata e sostenuta da politiche industriali molto mirate. In questo contesto, l’Europa si trova invece in una fase di stallo, tra incertezze normative, iter lenti sull’approvazione di piani strategici come l’Automotive Action Plan e una narrativa politica che spesso indebolisce la fiducia di consumatori e investitori.

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    Il rischio vero è perdere la leadership per mancanza di coerenza e visione di lungo termine. Abbiamo tutte le carte per essere protagonisti, ma servono scelte nette: stabilizzare il quadro normativo, rendere operativi i fondi UE per le filiere strategiche e per sostenere la domanda—soprattutto nel settore flotte, dove l’elettrico può fare la differenza già oggi.

    Non possiamo permettere che una fase congiunturale particolarmente complessa venga scambiata per un fallimento strutturale della transizione. La competitività europea si gioca proprio ora, e la mobilità sostenibile è uno dei fronti decisivi su cui dimostrare che innovazione, ambiente e industria possono crescere insieme.

    Il ruolo della Cina, concorrente e partner

    La Cina domina ormai il mercato della mobilità elettrica, dalle batterie ai veicoli. A suo avviso, il ruolo della Cina è più quello di un concorrente o può esserci spazio per forme di collaborazione strategica?

    Il ruolo della Cina è duale: è un competitor, certo, ma anche un potenziale partner in alcune aree dove la collaborazione può generare valore—penso alle tecnologie emergenti, alle piattaforme digitali per la mobilità, alla standardizzazione tecnica o alla sicurezza delle batterie.

    L’Europa deve essere lucida: non possiamo permetterci di subire passivamente il vantaggio cinese, ma nemmeno possiamo pensare di isolarci. Dobbiamo puntare sulla nostra capacità di innovazione, stringere alleanze industriali strategiche, rafforzare la filiera continentale e creare un contesto normativo stabile e attrattivo per gli investimenti. Allo stesso tempo, serve una politica commerciale europea ferma ma intelligente, che tuteli la competitività.

    La “restaurazione” sul Green Deal che arriva dagli USA

    Altro fronte: Trump che annuncia di voler colpire i settori green, mentre in Europa si manifestano dubbi se non avversione dichiarata al Green Deal. Cosa significherebbe per il settore della mobilità elettrica una revisione o un annacquamento degli obiettivi climatici?

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    Una revisione degli obiettivi climatici, nell’attuale contesto presidenziale americano, comporterebbe senza dubbio una duplice perdita per il settore della mobilità elettrica. In primis, si rischierebbe di compromettere quella spinta innovativa e competitiva che deve guidare la trasformazione della nostra industria.

    Inoltre, ridurre gli obiettivi climatici significherebbe, concretamente, abbassare l’imperativo di investire in tecnologie elettriche e digitali, raffreddando la domanda interna e indebolendo ulteriormente il vantaggio competitivo europeo sul mercato globale. Le aziende che hanno già scommesso miliardi nella transizione rischierebbero di vedere compromessi i propri investimenti, scoraggiando ulteriori spese in ricerca e sviluppo. Questo scenario potrebbe facilitare una deriva verso politiche protezionistiche, che punirebbero proprio quelle imprese più orientate all’innovazione, le quali sono state e saranno il motore per la ripresa industriale.

    Pertanto, l’Europa deve rispondere con coerenza: investimenti in infrastrutture, un Patto di Stabilità e Crescita modernizzato e un passaggio dall’ideologia alle azioni concrete, ad esempio implementando con decisione l’Automotive Action Plan. Mantenere obiettivi climatici ambiziosi non è solo una scelta ambientale, ma una necessità strategica per non perdere il treno dell’innovazione e preservare la leadership del nostro comparto industriale.

    I progetti e gli obiettivi di Motus-E

    Fabio Pressi, chiudiamo con i progetti su cui sta avorando Motus-E

    Motus-E oggi rappresenta una voce credibile e autorevole per chi vuole comprendere a fondo l’evoluzione della mobilità elettrica e dell’intera filiera industriale che le ruota intorno. Spesso si parla solo di veicoli elettrici, ma in realtà il cambiamento coinvolge settori molto più ampi: dall’energia alla manifattura, dal software alla chimica. In Italia ci sono centinaia di aziende che stanno investendo, innovando e scommettendo sul futuro tecnologico del settore.

    Ad oggi contiamo quasi 100 aziende associate, con le quali portiamo avanti un confronto costante e costruttivo anche con le istituzioni. Il nostro obiettivo è raccontare questa transizione non solo come un percorso ‘green’, ma come una trasformazione industriale profonda, che genera competenze, posti di lavoro e valore aggiunto sul territorio.

    Lavoriamo su progetti molto concreti: pubblichiamo report sull’evoluzione della rete di ricarica, coordiniamo tavoli tematici su temi cruciali come le batterie, il trasporto pubblico, la logistica urbana. Collaboriamo con l’Università Ca’ Foscari attraverso un Osservatorio dedicato ai riflessi occupazionali della transizione elettrica. I dati che emergono sono chiari: in Italia metà delle aziende della filiera automotive estesa non prevede investimenti in nuovi prodotti e processi, segnale di una forte mancanza di una politica industriale nazionale strutturata.

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    Eppure ci sono settori che stanno già dimostrando grande dinamismo. I CPO – i Charging Point Operator – hanno investito oltre un miliardo e mezzo di euro nelle infrastrutture di ricarica in Italia. Questo dimostra che, quando esiste una visione chiara e strumenti adeguati, le imprese rispondono con forza. Inoltre, pochi sanno che uno dei nostri associati che produce colonnine di ricarica ad alta potenza (HPC High Power Charging) in Italia è uno dei principali player internazionali per quel tipo di ricarica.

    In un quadro ancora frammentato, il nostro ruolo è proprio quello di fare sintesi: aiutare istituzioni e imprese a orientarsi, a fare chiarezza e a costruire insieme un percorso strategico per una mobilità sostenibile, competitiva e industrialmente solida.



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