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25 aprile 1945, Roma in festa
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di
Gianluca Mercuri
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Buongiorno. Oggi è l’ottantesimo anniversario della Liberazione dal fascismo, un momento di festa che cade nel mezzo dei giorni di lutto per la morte di papa Francesco e nel pieno di una crisi internazionale di cui non si intravede la conclusione, tra guerre commerciali appena iniziate e guerre vere e cruente che non accennano a concludersi.
Su questo sfondo, il nodo resta la memoria non condivisa: ottant’anni non sono bastati a far vergognare tutti gli italiani di quella pagina ignominiosa della nostra storia, la più nefasta, quella da cui nacque il prototipo delle dittature reazionarie che, nella soppressione brutale di ogni voce contraria, ispirò direttamente Hitler e lo affiancò nella più sanguinosa guerra di sempre e nello sterminio degli ebrei.
Aldo Cazzullo, l’intellettuale italiano che negli ultimi anni si è più speso per ricordare il peso di questo passato, risponde così a un lettore che lamenta come “della Resistenza, e nello specifico della festa del 25 aprile, si sia appropriata una parte sola della politica”. Ecco le sue parole:
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«A me pare che sia proprio la destra di governo a presentare il 25 aprile come la festa della minoranza, come un anniversario che riguarda soltanto una parte del Paese, quella al momento all’opposizione. Ovviamente non è così. Il 25 aprile è la festa di tutti gli italiani. Ottant’anni fa, in questi stessi giorni, tutti gli italiani ritrovavano la libertà. Furono giorni durissimi, anche di violenze e di sangue. Ma furono giorni in cui finiva l’occupazione nazista, in cui l’Italia recuperava la propria indipendenza. I giovani italiani non sarebbero più stati costretti a combattere per i nazisti invasori, con l’alternativa di essere fucilati in piazza, come i renitenti alla leva in Campo di Marte a Firenze, o impiccati agli alberi, come accadde a Bassano. La massima concessione cui sembra disposta la destra di governo è riconoscere che ci fu un altro 25 aprile, quello dei partigiani non di sinistra. In effetti in questa pagina da più di otto anni ci diciamo che i partigiani non erano certo tutti di sinistra, e che ci furono molti modi di dire no ai nazifascisti: un no pronunciato da militari, carabinieri, poliziotti, ebrei, donne, internati militari in Germania, sacerdoti, suore. Detto questo, non esiste un altro 25 aprile. Il 25 aprile è uno solo, e dovrebbe essere sentito come tale da tutti gli italiani. E il valore della Resistenza è proprio questo: italiani che la pensavano molto diversamente seppero unirsi contro i nazifascisti dalla stessa parte. La parte giusta».
Venanzio Postiglione, nell’editoriale, fa un’altra riflessione: «Dopo tanto tempo è difficile fare un bilancio, ma alla fine è intuitivo. E la prima cosa che viene in mente è la più chiara: dopo 20 anni di dittatura, ne abbiamo avuti 80 di libertà e di democrazia. Grazie alle truppe alleate e grazie ai partigiani, di ogni colore, di varie opinioni, di svariati orientamenti, che hanno ridato valore, dignità, immagine all’Italia, sottraendola (in parte) alla voragine della disfatta. La realtà dei fatti e la riconciliazione nazionale: tutte e due indispensabili, come ogni 25 Aprile, la verità è sacra ma non è una clava».
Chi certo non agitò mai clave è Piero Calamandrei. Maria Serena Natale ha avuto la bellissima idea di fare risentire la voce del grande giurista, un vero padre della patria, nel celebre discorso sulla Costituzione che tenne nel 1955, un anno prima di morire, alla Società Umanitaria di Milano. È davvero un esercizio consigliabile a tutti: la passione che trasmette, la schiettezza accorata del suo fiorentino limpido, l’omaggio ai centomila morti della Resistenza, sono un’emozione difficile da immaginare finché non la si ascolta. Qui possiamo riportare qualche brano di quel discorso:
«Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione».

25 aprile 1945, partigiani per le vie di Milano
Antonio Polito ha raccolto l’invito del ministro Musumeci a festeggiare oggi con «sobrietà», dato il lutto per il papa, invito che a parte dell’opposizione è parso un tentativo goffo di mettere in sordina la festa. Polito ricorda da una parte Alcide De Gasperi, il Cavour dell’Italia postfascista, e il suo sforzo di pacificazione:
«Nell’immediato dopoguerra, parlando a un congresso di capi partigiani, disse loro: aiutateci a superare lo spirito funesto delle discordie. Si devono lasciar cadere risentimento e odio. Si deve perdonare. Un appello, diremmo oggi molto sobrio, alla riconciliazione nazionale, che non vuol dire affatto, ovviamente, dimenticare o addirittura provare a negare l’enorme contributo ideale di sangue che la lotta partigiana di tutti i colori ha dato non solo alla liberazione dell’Italia, ma anche alla ricostruzione di una dignità nazionale che era andata distrutta nella tragedia del fascismo e della guerra. A coloro che ancora oggi, da destra svalutano quella lotta e magari si rifiutano ancora di partecipare a questa bellissima giornata di festa nazionale, vorremmo ricordare i versi, anch’essi molto sobri, di Giuseppe Ungaretti, che pure era stato iscritto al partito fascista e che scrive nella poesia Per i morti della Resistenza:
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Qui Vivono per sempre Gli occhi che furono chiusi alla luce Perché tutti Li avessero aperti Per sempre Alla luce
Il presidente del Senato Ignazio La Russa è la personalità che più incarna i nodi irrisolti. In questi quasi tre anni in cui ha ricoperto la seconda carica dello Stato, ha suscitato frequenti polemiche. Ieri, a suo modo, ha fatto un passo, augurandosi che il 25 Aprile sia «una data di tutti» perché 80 anni «sono forse il tempo sufficiente perché si guardi con sempre maggiore condivisione, e mai con strumentalizzazione, a quello che fu uno dei momenti fondanti dell’antica storia d’Italia, del nostro popolo e della nostra nazione». Per poi aggiungere che «non è da oggi il convincimento mio, personale, ma anche della parte politica da cui provengo, di rispetto e piena adesione ai valori della Costituzione e quindi del rispetto della data che vide il ritorno alla libertà» (tutto questo l’ha detto seduto, e quando dall’opposizione gli hanno chiesto di parlare in piedi c’è stato qualche momento di agitazione).
Nella notte ci scrive il lettore Alessandro Marzocchi:
«Ho 83 anni, come molti altri mio padre si è fatto la guerra, ha appreso dai tedeschi il nostro cambio di alleanze e poi, loro prigioniero, ha girato mezza Europa in carri piombati e vissuto per anni in campi di concentramento. Ho sempre votato a sinistra, avrei preferito che la destra restasse all’opposizione, ma prendiamo atto che la storia ha girato pagina: continuare a delegittimarsi od imparare a rispettarsi in una democrazia anche fra diversi? Giriamo pagina, opponiamo idee ad idee, visioni a visioni rispettando gli altri, troppo facile andare d’accordo con chi la pensa come noi».
La Russa presidente del Senato è per molti antifascisti una provocazione, un insulto, il segno della sconfitta. Forse è il momento di cominciare a considerarlo il segno della vittoria, la vittoria della democrazia e dei partigiani, i cui occhi “furono chiusi alla luce/ Perché tutti/ Li avessero aperti”.
Oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarà all’Altare della Patria insieme alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, poi il capo dello Stato andrà a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza.
Cortei sono in programma in tutta Italia. Il più atteso e corposo sarà come sempre a Milano, con partenza intorno a mezzogiorno da via Palestro. Sia a Milano sia a Roma c’è il timore di incidenti tra «Pro Pal» (giovani filopalestinesi) e Brigata ebraica (partigiani ebrei o loro discendenti). L’Anpi, l’Associazione dei partigiani, si dice preoccupata e si augura che «il buon senso prevalga».
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Benvenuti, dunque, alla Prima Ora di venerdì 25 Aprile, la Festa della Patria. Ed ecco le altre cose da sapere oggi.
Ucraina, la guerra infinita

Soccorsi a Kiev dopo i bombardamenti dell’altra notte (Ap)
Gli attacchi russi, lo stop di Trump: punto per punto.
- Il raid su Kiev Nella notte tra martedì e mercoledì, la Russia ha bombardato la capitale ucraina con missili e droni, uccidendo almeno 12 persone e ferendone 90. Si tratta del più grande attacco di quest’anno a Kiev.
- La reazione di Trump Il presidente americano, che il giorno prima aveva nuovamente attaccato Volodymyr Zelensky, ieri ha mandato un segnale a Putin con un post sul suo social Truth: «Non sono felice degli attacchi russi su Kiev. Non necessari e in un pessimo momento. Vladimir, stop! Muoiono 5000 soldati a settimana. Facciamo in modo che l’accordo di pace si concluda!».
- I segnali contradditori Nelle stesse ore, Trump ha rilasciato dichiarazioni ottimistiche sui negoziati, affermando che ci sono stati «progressi significativi» e che il Cremlino ha fatto una «concessione piuttosto grande» aprendosi a «fermare la guerra, smettere di prendere l’intera Ucraina». Poi ha aggiunto che «i prossimi giorni saranno molto importanti. Gli incontri si stanno svolgendo proprio ora. Penso che faremo un accordo. Penso che ci stiamo avvicinando molto».
- Il piano americano È sempre difficile, naturalmente, districarsi tra le parole del leader americano, che il giorno prima aveva strapazzato ancora una volta Zelensky per il suo rifiuto di riconoscere formalmente l’annessione russa della Crimea. È uno dei tre punti della proposta americana per porre fine alla guerra, insieme al cessate il fuoco lungo l’attuale linea del fronte, che consentirebbe ai russi di mantenere il controllo dei territori occupati, e al no definitivo all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Al rifiuto di Zelensky, Trump ha risposto minaccioso: «L’Ucraina è in una situazione disastrosa: può ottenere la pace ora oppure combattere per altri tre anni prima di perdere tutto».
- Ma perché Zelensky dice no? Perché per Kiev sono davvero le ultime, minime e disperate linee rosse. Il presidente ucraino sa che il passaggio da Biden a Trump rende impossibile una difesa a oltranza del Paese dall’invasione russa; è ormai rassegnato alla perdita della Crimea e delle quattro regioni occupate in parte dagli aggressori. Ma non vuole riconoscere formalmente un’amputazione territoriale pari a un quinto dell’Ucraina, nella speranza di un recupero almeno parziale quando Putin non ci sarà più. Quanto all’addio definitivo alla Nato, lascerebbe l’Ucraina alla perenne merce’ del vicino.
- E i russi che dicono? Contrariamente a quanto dice Trump, non danno la minima idea di volere accelerare il negoziato. L’ex ministro della Difesa Shoigu, scrive da Mosca Marco Imarisio, è tornato ad agitare la minaccia nucleare; il portavoce del Cremlino Peskov dice che la Russia persegue ancora i suoi obiettivi, «militarmente o pacificamente», e lo stesso Putin sottolinea lanecessità di un riarmo pesante. Un segnale delle intenzioni russe sarà la risposta che daranno alle richieste minime degli americani: restituire agli ucraini la centrale nucleare di Zaporizhzhya e rinunciare alla demilitarizzazione dell’Ucraina.
- Ma cosa resta della Resistenza ucraina? Ecco, Resistenza è la parola giusta: bisogna leggere ancora una volta Lorenzo Cremonesi, che ricorda come subito dopo l’invasione del febbraio ’22 gli aggrediti sembrassero spacciati:
«Proprio in occasione di questo ottantesimo anniversario del 25 Aprile italiano è indispensabile tornare a ricordare quelle ore, quei giorni di lotta e sacrificio. Noi europei occidentali ancora non ci capacitiamo, non lo capiamo. Ma lo slancio degli ucraini non è la retorica melensa degli eroi che lottano e muoiono per la libertà. Resta piuttosto la realtà di esseri umani – uomini, donne, giovani e anziani – che da un momento all’altro lasciano i letti caldi delle loro case e si mettono in fila ai centri di reclutamento per imparare a usare un fucile, a tirare una bomba a mano, a costruire una casamatta con le feritoie all’entrata della città».
Certo che sono stanchi, certo che Zelensky ha commesso errori, «ma la generosa mobilitazione ucraina della prima ora ha sconfitto l’illusione della guerra lampo di Putin ed è diventata un esempio per tutti noi».
Domani Zelensky, al funerale del papa, farà di tutto per parlare con Trump.
Il mondo a Roma per Francesco
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Cardinali durante le «congregazioni» di ieri (Ap)
La folla per il papa, i leader in arrivo, le mosse dei cardinali: punto per punto.
- Chi ci sarà A omaggiare il pontefice morto lunedì sono passate in questi giorni 100 mila persone. Domani ci saranno dieci rappresentanti di famiglie reali e di principati, insieme con 50 capi di Stato e altrettanti di governo, per un totale di almeno 130 delegazioni.
- La disposizione In prima fila Mattarella e Meloni, seguiti dall’argentino Milei. Poi l’ordine alfabetico (che è quello francese) metterà vicini Macron e Trump (che dovrà sedersi accanto all’odiato predecessore Joe Biden).
- Perché è importante Perché sebbene il governo italiano abbia escluso la possibilità di vertici politici in occasione del funerale, Trump stesso ha detto che avrà «diversi incontri». Con chi? «Vedrò i leader a Roma, vorrei incontrarli tutti» ha aggiunto. È chiaro che, tra dazi e Ucraina, ci sarà la fila per strappargli qualcosa. Anche la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha fatto capire che ci spera.
- E i cardinali? I cardinali hanno iniziato le grandi manovre in vista del Conclave, che dovrebbe iniziare il 6 maggio. È in questi giorni, nei colloqui riservati chiamati «congregazioni» in cui la maggioranza dei porporati incontra gli altri per la prima volta, che si decide il nuovo papa: più giorni passeranno, prevede Massimo Franco, più breve sarà il Conclave. O il contrario. Sicuro è il peso dei grandi vecchi che per limiti di erà non potranno votare, ma il cui parere conta: gli italiani Re, Bagnasco e Ruini, l’austriaco Schönborn, l’americano O’Malley.
- La redistribuzione di Bergoglio È stata, scientemente, una redistribuzione del potere di eleggere il papa, dall’Occidente alle periferie. Per questo ha tenuto 10 concistori in 12 anni, con continue infornate di africani e asiatici. Cardinali sconosciuti a molti vaticanisti ma non al papa, che li ha scelti per la loro rappresentatività anche quando non avevano le sue idee: per questo non è detto che esca un altro Bergoglio. Di sicuro ha puntato sull’Asia, che ha il 10% dei cattolici del mondo ma quasi il 20% dei cardinali votanti. Da lì arriva il filippino Tagle, uno dei favoriti: lui, sì, sarebbe il Francesco d’Asia.
- Bollette, scontro governo-Confindustria L’associazione degli imprenditori attacca duramente l’esecutivo per l’assenza di misure a favore delle imprese nel decreto bollette: «Persa un’altra occasione utile per intervenire in maniera efficace a sostegno delle imprese». La risposta è arrivata alle agenzie di stampa da fonti del governo: il decreto, dicono, è stato «ampiamente discusso» con tutte le associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria, quindi «stupisce che l’associazione degli industriali abbia manifestato la sua contrarietà solo dopo l’approvazione definitiva del provvedimento da parte del Senato».
Ma di che si tratta? Del costo dell’energia per le imprese, una questione che divide le aziende energivore, cioè grandi consumatrici di energia (chimica, cemento, acciaio, ceramica, carta, vetro, metalli) e Elettricità futura, che raggruppa le imprese che producono e distribuiscono elettricità in Italia, tra cui grandi gruppi parastatali come Eni ed Enel (qui l’analisi di Federico Fubini). Il ruolo di mediatore del governo è complicato dal fatto che proprio la presenza statale nel settore fa sì che il Tesoro con le bollette alte ci guadagni. Ora, riporta Rita Querzè, «si fanno più insistenti le voci di una possibile uscita di Elettricità futura da Confindustria».
- Dazi, Cina (e 12 Stati Usa) contro Trump Dire che i negoziati commerciali stiano progredendo è come «cercare di afferrare il vento». La Cina smentisce così, in pieno stile confuciano, le affermazioni di Donald Trump sul presunto buon andamento dei negoziati sui dazi che – insieme al suo dietrofront sul licenziamento del presidente della Federal Reserve Jerome Powell – avevano fatto respirare i mercati. Pechino, scrive Giuliana Ferraino, «sorprende per la fermezza della sua linea, che non si lascia influenzare dalle giravolte di Washington». A riaffermare la posizione della Cina è stato il portavoce del ministero del Commercio He Yadong: «Le misure unilaterali di aumento dei dazi sono state avviate dagli Stati Uniti. Se gli Stati Uniti vogliono davvero risolvere il problema, dovrebbero ascoltare le voci razionali della comunità internazionale e di tutte le parti interne, cancellare completamente tutte le misure tariffarie unilaterali contro la Cina e trovare modalità per risolvere le divergenze attraverso un dialogo paritario».
Intanto, dopo la California altri 12 Stati americani, tra cui Oregon, Illinois e New York, hanno avviato un’azione legale congiunta contro la politica tariffaria del governo federale, che accusano di danneggiare l’economia nazionale. A opporsi alle politiche di Trump, racconta Danilo Taino, ora sono anche i grandi ceo americani: lunedì scorso, i boss di Walmart, Home Depot e Target – tre delle maggiori catene di commercio al pubblico negli Stati Uniti – sono andati personalmente alla Casa Bianca per spiegare al presidente i danni provocati dalle sue scelte.
- Alta tensione tra India e Pakistan Il terrorismo separatista è tornato a colpire in Kashmir, regione indiana a maggioranza musulmana, con un attentato che martedì ha ucciso 26 persone a Pahalgam: le relazioni tra i due Paesi si sono immediatamente inasprite al punto da fare temere agli osservatori uno nuovo conflitto, secondo una dinamica che si ripete da decenni. L’India accusa i servizi segreti pakistani di essere i burattinai del terrorismo e per ritorsione ha sospeso il trattato che dal1960 regola l’utilizzo delle acque dell’Indo, il Pakistan si dice pronto alla guerra in caso di cambiamenti al corso del fiume. Per ora, i due Paesi si scambiano espulsioni di personale diplomatico e minacce, ma la crisi ricorda quella del 2019, quando un altro attentato indusse l’India a revocare l’autonomia del Kashmir.
- Studente uccide una compagna, Francia sotto choc È successo ieri mattina in un liceo di Nantes, dove un 16enne ha ucciso a coltellate una compagna ferendone altri tre, prima di essere bloccato da un insegnante. Il ragazzo, scrive da Parigi Stefano Montefiori, era considerato «bizzarro» dai compagni, tra tendenze suicide e fascinazione per Hitler. Prima dell’attacco, ha diffuso online farneticazioni contro «l’ecocidio globalizzato» e «l’alienazione sociale». Pare che avesse litigato con la vittima, uno scenario che ricorda quello delle serie tv inglese Adolescence di cui tanto si parla. Il premier François Bayrou ha denunciato l’«esplosione di violenza» tra i giovani e la «minaccia perpetua» rappresentata dalla «presenza di armi da taglio nelle scuole». Il governo pensa ora di introdurre metal detector all’ingresso delle scuole.
- Generali, stop (per ora) a Caltagirone Il rinnovo del cda del gigante assicurativo ha visto passare a larga maggioranza (52,38% dei voti) la lista di Mediobanca, con la conseguente riconferma per tre anni del ceo Philippe Donnet e del presidente Andrea Sironi. La lista del gruppo Caltagirone, appoggiata dalla Delfin di Del Vecchio e da Unicredit, ha registrato il 36,8% del capitale votante. La partita, che ha importanti risvolti politici e vede protagonista il governo Meloni, non finisce però qui. Anzi, come spiega Daniela Polizzi, «inizia adesso». Caltagirone e Del Vecchio, infatti, «preferiscono attendere la conclusione dell’Ops del Monte dei Paschi (il gruppo romano ha il 9,9%, Delfin il 9,8%) su Mediobanca che, se andrà in porto, consegnerà a Mps il 13,1% di Generali in portafoglio a Mediobanca, nell’ambito di un progetto di creazione di un nuovo polo bancario che il governo guarda con favore».
I ragazzi sanno poco del 25 Aprile, ma non è che gli adulti siano messi meglio: Conte, quando era premier, lo confuse con l’8 settembre. C’è poi chi crede di saperlo, ma non lo sa. E chi lo sa, ma non ci crede. Provo a riassumerlo sobriamente (ci mancherebbe), così come me lo spiegò mio padre, che a diciott’anni aveva combattuto con i partigiani nelle Valli di Lanzo. Nell’ultima fase della Seconda guerra mondiale, l’Italia fu teatro di una guerra civile. Alcuni italiani parteggiavano per chi ci aveva invaso, la Germania nazista, e altri per chi cercava di liberarci: gli Alleati. Ci furono episodi di ferocia e di eroismo da entrambe le parti, ma questa realtà, riscontrabile in ogni guerra civile, non può invalidare il quadro d’insieme: i fascisti stavano con le SS, i partigiani con i marines, e non era esattamente la stessa cosa. Una parte dei partigiani — mica tutti, come vorrebbe far credere qualcuno — stava anche con i sovietici, ma fu chiaro fin quasi da subito che quella fazione non avrebbe mai preso il potere. Mentre, se il 25 Aprile avessero vinto gli italiani che stavano con le SS, forse avremmo avuto la Repubblica, ma il resto sicuramente no: la democrazia, la Costituzione, la libertà di poter parlar male di tutti, partigiani compresi.
Posso aggiungere, sempre sobriamente, qualcosa? Era uno spettacolo sentire mio padre pronunciare la parola Libertà. Per troppi, adesso, è retorica. Ma per lui, cresciuto nelle gabbie di una dittatura, aveva un gusto così irresistibile che pur di assaporarlo non esitò a mettere in gioco la sua vita. Buon ottantesimo 25 Aprile. A tutti.
Grazie per aver letto Prima Ora e Buon 25 Aprile (qui il meteo).
(gmercuri@rcs.it, langelini@rcs.it, etebano@rcs.it, atrocino@rcs.it)
Dilazione debiti

Saldo e stralcio
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