La nuova mostra allestita nelle Galleries di Fondazione Mast di Bologna, realizzata e sponsorizzata dalla GD leader mondiale nei sistemi di automazione, è il punto d’arrivo del concorso fotografico biennale su industria e lavoro dedicato agli artisti emergenti che sviluppano un progetto originale e inedito sui temi del premio Photography Grant 2025: il mondo dell’industria e della tecnica, con i sistemi del lavoro e del capitale, con le invenzioni, gli sviluppi e l’universo della produzione.
Il Mast è un punto di riferimento unico per la fotografia contemporanea che mette insieme il lato artistico e di documento della fotografia. Quest’arte è nata come documento, traccia, segnatamente ritratto, per cogliere e fissare l’istante vitale ed è diventata la dimensione della creazione e della virtualità della realtà per eccellenza. Lo sforzo condotto nelle mostre al Mast è di tenere insieme questi due aspetti facendo centro proprio sul tema del lavoro e in particolare degli aspetti dell’industria e dell’automazione, testimonianza di un mecenatismo ormai raro e a disposizione di tutti, considerando che tutte le mostre sono gratuite (comprese le consumazioni al caffè). Gli spazi di questo museo improntati all’essenzialità, dominati dal bianco e dalla luce, valorizzano massimamente questo genere di esposizione grazie anche al preambolo, gli ambienti di mostra industriale e tecnica del patrimonio aziendale.
I cinque finalisti, selezionati tra 42 candidati under 35 provenienti da tutto il mondo, del MAST Photography Grant 2025 interpretano i temi dell’industria e del lavoro mettendo a fuoco specifiche realtà geografiche e umane in un mondo sempre più industrializzato, globalizzato, digitalizzato.
Sheida Soleimani, statunitense, vincitrice, nelle sue installazioni fotografiche, riunite sotto il titolo Flyways, “Rotte migratorie”, sviluppa costellazioni eterogenee ispirate alle vicende traumatiche della sua famiglia fuggita dall’Iran, ai racconti talvolta inascoltati e nascosti delle esperienze vissute dalle donne del movimento Donna, Vita, Libertà in Iran e alla sorte degli uccelli migratori feriti a causa degli edifici che noi umani abbiamo eretto e continuiamo a costruire. Nelle sue immagini stratificate che trasfigurano la realtà come immagini pittoriche, si analizza la distruzione diretta e indiretta della vita umana e dell’ambiente dettato dalle modalità tipiche del lavoro odierno.
Felicity Hammond, britannica, ha presentato il progetto Autonomous Body, “Corpo Autonomo”, che richiama direttamente la produzione industriale e i suoi effetti creando nuove connessioni fra la storia e il futuro della produzione automobilistica e i processi estrattivi che la rendono possibile. Le sue installazioni esplorano il modo in cui gli sviluppi tangibili e intangibili della produzione automobilistica siano collegati in una rete globale che va dalla miniera alla macchina e se l’inizio è comune all’industria novecentesca, la realizzazione e la finitura appartiene all’industria 4.0 della quale l’artista utilizza il linguaggio. In luce il processo che è sempre meno meccanico e sempre più legato all’immagine.
Gosette Lubondo della Repubblica Democratica del Congo, con Imaginary Trip III, “Viaggio immaginario”, visita alcune industrie di Lukula, città-dipartimento della provincia del Congo Centrale, nate in epoca coloniale e che, negli anni successivi alla liberazione, sono progressivamente fallite. Mette in scena se stessa insieme agli ex operai nell’area della fabbrica dove i muri, i vecchi macchinari, la natura e l’utopia di una possibile resurrezione di un tempo e di un’industria perduti si fondono in un malinconico canto visivo, come un tableau vivant di grande suggestione.
L’italiana Silvia Rosi in Il fulcro di Kɔdi, “Codice”, affronta un tema tanto vasto quanto poco conosciuto, il tessuto a stampa wax, diffuso in molti altri paesi africani e venduti in Togo dalle cosiddette Nana Benz. Nana significa “madre” o “nonna”, mentre “Benz” si riferisce alla famosa marca di automobili, Mercedes Benz. Le Nana Benz erano donne d’affari, le prime a importare queste auto. Contemporaneamente sostenevano in segreto il movimento per l’indipendenza, nascondendo messaggi nei tessuti che vendevano e trasportavano da una parte all’altra delle città, con un ruolo essenziale anche se misconosciuto. I tessuti infatti venivano ricamati con slogan ‘politici’ con “Cara, non voltarmi le spalle” o “Se hai qualcosa da dirmi, dimmelo in faccia”. Le opere dall’effetto raffinato e decisamente originale, sono una composizione che crea un singolare gioco ottico con le protagoniste vestite nello stesso modo dello sfondo.
Dall’Australia Kai Wasikowski con il progetto The bees and the Ledger, “Le api e il libro mastro”, esplora i temi dell’industria, delle migrazioni e del lavoro attraverso il ritratto della nonna dell’artista emigrata negli anni Settanta dalla Polonia in Australia e che non è mai riuscita a farsi davvero strada nel mercato del lavoro della nuova patria. Da un lato, l’artista visualizza la storia di quest’incapacità di realizzarsi professionalmente; dall’altro affronta la questione del “lavoro nonostante la disoccupazione” e del “lavoro dopo il lavoro”, dell’attività pratica come pensiero, essenza e motore fisico e mentale della vita. Su una parete in 47 fotografie ordinatamente disposte a griglia un’installazione di oggetti che mappano la sua vita personale e professionale; su quella di fronte, scene di vita tra la Polonia e l’Australia e la vita che, nonostante tutto, è riuscita a costruirsi, una piccola casa, dedicandosi soprattutto all’orticoltura, alle api e alla famiglia.
L’esposizione si inserisce nel quadro del Concorso biennale creato nel 2007, e inizialmente denominato GD4PhotoArt, entrato poi a far parte di un progetto più ampio coordinato dalla Fondazione Mast con l’obiettivo di offrire a cinque giovani fotografi internazionali l’opportunità di confrontarsi con le problematiche legate al mondo dell’industria e della tecnica, con i sistemi del lavoro e del capitale, con le invenzioni, gli sviluppi e l’universo della produzione. La giuria del concorso, composta da esperti internazionali di fotografia, nomina, per ogni edizione, i selezionatori che individuano i giovani fotografi di talento, invitandoli a partecipare al Grant. I giurati scelgono cinque progetti fra quelli presentati, assegnando delle borse di studio per le fasi di studio, ricerca artistica e realizzazione. Al completamento dei progetti, la Fondazione MAST allestisce una mostra, accompagnata da un catalogo.
Il concorso ha contribuito alla creazione di una raccolta fotografica di artisti contemporanei che fanno parte della storica e articolata collezione di fotografia industriale della Fondazione Mast, curata da Urs Stahel.
a cura di Ilaria Guidantoni
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